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Cloud e industrializzazione dell'IT

La propensione al cloud è direttamente proporzionale al tasso di sviluppo economico e nuovi investimenti presuppongono la creazione di nuovo mercato

Cloud
Nessuna pregiudiziale nei confronti del cloud. Perché mai dovrebbe esserci? Tuttavia, ogni investimento è bene sia valutato per i possibili vantaggi che può apportare. Vantaggi che possono variare a seconda del contesto aziendale e organizzativo di riferimento. Va da sé che esistono i pay-off che ne costituiscono il fondamento: passaggio da una spesa CAPEX a OPEX, non possiedo un bene ma corrispondo un valore per l’uso che ne faccio; riduzioni dei costi infrastrutturali complessivi di lungo periodo; flessibilità, grazie a un provisioning dinamico che interessa tutte le componenti, di computing, di storage e di networking; time to market, quindi velocità di implementazione, andando a ridurre i tempi di approntamento di un servizio o applicazione. Di contro vi sono criticità ancora solo in parte risolte: la questione della sicurezza, in primis, legata in particolare alla componente dati; il rischio di un vendor lock-in; la mancanza di un controllo e monitoraggio effettivo delle risorse utilizzate; la difficoltà nel tradurre in codice cloud la complessità delle dipendenze applicative dell’articolato ambiente legacy. Il cloud equivale a una industrializzazione dell’IT, una logica che non coincide con la cultura che ha prodotto e creato i conglomerati software e hardware delle aziende. Occorre trovare un compromesso e ciò significa che devono mettersi in gioco entrambi le parti, domanda e offerta.
Il cloud solleva pro e contro che vanno valutati come sempre si sono valutate scelte che vanno a cambiare in profondità lo status quo informativo. Vi sono cose che hanno senso vengano migrate al cloud, altre che di senso ne hanno davvero poco. Vero, il cloud può essere un’alternativa al sourcing infrastrutturale tradizionale, una parte delle risorse interne sono predisposte a essere traslate in cloud acquisendo una serie di vantaggi. Ma il cloud ha soprattutto a che fare con l’innovazione. E’ iniziato ad affermarsi con maggiore incisività in quei paesi dove nascono nuovi mercati conseguentemente a mutamenti economici e relativa spinta competitiva. Paesi dove la nascita di nuova economia è spesso legata a un’economia digitale, imprese internet based, i cui servizi nascono nella dimensione web e mobile. La propensione al cloud del mondo aziendale è direttamente proporzionale al tasso di sviluppo economico. Non a caso Stati Uniti e Asia sono le economie con il più alto indice di penetrazione tecnologica e con il più alto indice di adozione del cloud. In mezzo ci sta l’Europa che è la culla dello status quo, il paese in questo momento più immobile nella geografia mondiale.
Si sfornano una quantità incredibile di ricerche con l’intento di capire il grado di adozione del cloud: dove si è investito, da quanto tempo, in quali contesti, IaaS, Paas o SaaS. Devo dire che rimango sempre nel dubbio rispetto a quella che traspare essere una conoscenza del cloud in sintonia con la logica in cui viene declinata dai vendor (PaaS, Iaas, SaaS, tutto fa brodo). E non vi è nessuna sorpresa nell’apprendere che una qualche forma di cloud sia comunque presente nelle aziende. Manca, invece, sempre, il rapporto tra capacità esternalizzata e interna, insomma, una misura che indichi l’entità dell’investimento cloud rispetto alla spesa IT complessiva. Ma tant’è, l’importante è potere affermare che tutte le aziende sono in cloud. Tutto questo discorso per dire che il cloud non va certo snobbato, rappresenta pur sempre una delle novità più interessanti del nuovo millennio. Importante è però rimarcare che una sua diffusione a livello enterprise è soggetta a una pluralità di fattori tra cui, come sottolineato in precedenza, quello del grado di innovazione o cambiamento che interessa l’economia di un paese. Dove si tende a gestire l’esistente il cloud può sì affermarsi, ma a ritmi lenti, molto lenti.
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