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Diamo all'Italia un'identità digitale

Quale futuro per l'Agenda Digitale? Nuovo Governo, nuove nomine? Si andrà a creare un nuova discontinuità con l’obiettivo di accelerare?

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Ci vorrebbe un pizzico di high performance computing per accelerare i passaggi che dovrebbero mettere in moto la macchina dell’Agenda Digitale. C’è voluto un anno perché venisse istituito lo Statuto dell’Agenzia, strumento che ne determina l’operatività. Ora vedremo.
Si stanno per aprire le danze legate all’insediamento del nuovo governo e si attendono, come sempre è stato, probabili (inevitabili?) nuove nomine all’interno della squadra che si è andata assemblando in questi ultimi due anni. La continuità che si era auspicata ai tempi del Governo Monti è nuovamente a rischio. Si getteranno le basi per un rilancio dell’iniziativa, solo per il fatto che Renzi è un personaggio più digitale dei precedenti?. Rimangono perplessità di fondo.
L’istituzione di un organismo in grado di definire e attuare interventi per rendere più produttiva ed efficiente la macchina amministrativa è una storia che si rincorre nel tempo. Si è tentato di  scimmiottare politiche ben più decisive, come quelle intraprese dal governo USA, dove l’agenda digitale è davvero una priorità di governo. Qui da noi di digitale, quando va bene, c'è solo la burocrazia.
Ottimizzazione delle infrastrutture, banda larga, possibilità di utilizzare via internet tutti i servizi della pubblica amministrazione, identità digitale unica per tutti i cittadini. L’agenda italiana ha un difetto congenito, l’essere legata ai tempi e modi della burocrazia istituzionale. Lo statuto prevede la nomina di un comitato d’indirizzo che deve rispondere alla presidenza del consiglio e definire le linee strategiche d’intervento. Francesco Caio che di fatto assolveva a questa funzione sembra sia in dipartita. Doveva essere l’uomo della svolta. Era stato nominato da Enrico Letta a commissario per l’attuazione dell’agenda nel giugno scorso.
Se davvero la semplificazione della pubblica amministrazione è un asse portante del prossimo governo a guida Renzi, l’Agenda dovrebbe diventare una priorità e non soltanto un vuoto legislativo. Verrà ribaltato l’assetto della squadra coinvolta? Di regola è sempre stato così e la dipartita di Caio ne è una conferma. Si andrà a creare un nuova discontinuità con l’obiettivo di accelerare? Speriamo, ma  discontinuità, in Italia, spesso ha significato tornare al punto di partenza.
I governi che si sono succeduti nell'ultimo decennio non hanno pouto non mettere all’interno del proprio programma interventi mirati a una digitalizzazione del Paese. Peccato che nessuno abbia mai davvero inteso il programma digitale come vero strumento con il quale cambiare e rendere migliore il sistema Italia. "La rivoluzione digitale può e deve essere interpretata per far crescere l’Italia, per aumentare la competitività, creare nuovi posti di lavoro, spendere in modo più efficiente i soldi pubblici, migliorare la qualità dei servizi". Frasi che potrebbero appartenere a un qualsiasi soggetto politico, perché l'accezione digitale non è di destra né di sinistra, ma che cadono in un vuoto assordante.
Un ministero ad hoc è escluso che vi sia. Probabilmente le funzioni saranno metabolizzate da un sottosegretario alla Presidenza del Consiglio (lo vogliamo chiamare CDO, Chief Digital Officer?) almeno così sembra essere l’orientamento. Come dice Stefano Quintarelli, parlamentare indipendente di Lista Civica, “è solo dal 2012 che si è iniziato a intervenire concretamente nel merito di un programma per l’Italia digitale. Nei 10 anni passati il tema è stato completamente assente dalla scena pubblica italiana. Si è trattato di un errore gravissimo che ha determinato ricadute pesanti sul nostro paese, soprattutto per il lavoro e per i giovani”.
Ora vedremo. Entro il 2020, come chiede l’Europa (vedi Rapporto Caio), l’Italia dovrà disporre di connettività 30 Megabit e 100 Megabit dovranno essere disponibili al 50% della popolazione. Saremo in grado di dare un'identità digitale all'Italia?
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