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Information Technology, un mercato superato?

Investire in IT non significa più fare le stesse cose in modo diverso, non significa, soltanto, permettere alle imprese di riuscire a essere più produttive

Cloud
Dopo aver seguito nel corso dell’anno un gran numero di eventi che hanno chiamato a raccolta clienti e partner di molte major dell’IT, pardon, ICT – poco importa la definizione, sono entrambi termini superati, il mondo dell’informatica, così come il mondo delle telecomunicazioni, si confrontano con un mercato che stenta a essere rappresentato in base ai canoni tradizionali – si avverte con chiarezza come i cambiamenti del mondo reale stiano mettendo in crisi i modelli sinora espressi. Il cloud, certo, ne è il maggiore responsabile, ma in linea di massima, è qualcosa di più profondo che sta accadendo, ed il cloud ne rappresenta soltanto la conseguenza ultima.

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Investire in IT (ICT?) non significa più fare le stesse cose in modo diverso, non significa, soltanto, permettere alle imprese di riuscire a essere più produttive,
sapere sfruttare in modo più intensivo la tecnologia, determinando un incremento nelle performance complessive di un’organizzazione IT. Se da una parte si può affermare che sia esistito, esiste, e continuerà a esistere, un progresso volto ad assicurare un aumento della produttività, così come parafrasato dalla legge di Moore, che tuttora continua a rappresentare l’indice di produttività dell’IT, dall’altra iniziano a manifestarsi opportunità in ambiti che sono stati finora del tutto estranei all’informatica d’impresa.
E’ il confronto tra un mondo strutturato, quello transazionale, governato per eccellenza dall’ERP e dalle tecnologie dati relazionali, e un mondo destrutturato, polverizzato dall’affermazione di dispositivi mobili, dal big data, dal social. Opportunità di crescita esistono al di là del perimetro del sistema informativo aziendale e con la tendenziale espansione della rete, nuovi oggetti, di qualsiasi ordine e grado, diventano parte di un ecosistema del tutto originale.
Come molti osservano siamo, diventeremo parte, di un hyper-connnected world. Semplificando, più o meno tutto potrà essere metabolizzato in rete, e qualsiasi cosa, internet of things, e qualsiasi persona, internet of everything, potrà essere parte costituente di nuovi processi digitali. Digitalizzare il digitalizzabile. Se tutto questo appare retorica futuristica, è sufficiente guardare a quanto successo nell’ultimo decennio e, spostando un pò più in l’asticella del tempo, a quanto successo nell’ultimo ventennio. Quanto è cambiato il mercato in questo intervallo di tempo? Quante sono le aziende che dagli anni novanta a oggi esistono ancora? Quante hanno registrato un drammatico calo di produttività? Quante hanno dovuto introdurre cambiamenti per continuare a esprimere un’economia sostenibile? Altrettanto, ma con più rapidità, avverrà nel prossimo ventennio.
A coloro che affermano che il cloud modifichi poco o nulla, che il big data e l’IoT siano solo delle chimere e appartengano all’utopia del marketing digitale, a chi è convinto che si possa rimanere uguali, poiché le cose continueranno a essere sempre più o meno identiche a se stesse, a chi continua a vedere l’informatica come unica e immutabile, a chi pensa che conservare sia un’aspirazione legittima per contrastare il nuovo che tutto distrugge, a chi pensa che l’Italia non soffra di un arretramento digitale, un saluto e un arrivederci ai prossimo ventennio.
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