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Debiti Pa, Unimpresa: su arretrati imprese perdono 5,5 miliardi l’anno di interessi

Lo stock di arretrati, tra Stato ed enti locali, era inizialmente pari a 91 miliardi di euro: le misure dell’Esecutivo varate lo scorso anno hanno sbloccato pagamenti per 21,5 miliardi, ragion per cui, oggi, la montagna di arretrati vale 69,5 miliardi.

Mercato e Lavoro
Oltre il danno, la beffa. Ammonta a 69,5 miliardi di euro lo stock di debiti della pubblica amministrazione verso le imprese e vale circa 5,5 miliardi la perdita virtuale di interessi che grava sulle stesse aziende a causa dei ritardi nei pagamenti della pa.
Sono oltre 215mila le imprese italiane creditrici dello Stato e degli enti locali, con una media di arretrati pari a oltre 322mila euro: la media degli interessi non incassati da ciascuna impresa è dunque pari a più di 25mila euro l’anno.
Questi i dati di un rapporto del Centro studi di Unimpresa sulla questione dei debiti della Pa, sulla quale l’Unione europea ha avviato una procedure di infrazione per la lentezza delle istittizioni italiani nel saldare le fatture con le imprese fornitrici.
Nel dettaglio, nell’industria è pari all’1,2% la quota di imprese in credito con lo Stato: vuol dire che ci sono 5.436 aziende che aspettano di veder saldata una fattura. Nel comparto delle costruzioni (edilizia e ristrutturazioni) la quota di imprese in fila d’attesa è pari al 16,2%, che equivale a 100.926 aziende. Il record è nei servizi: sono 109.131 (il 3,3% del totale del settore) le imprese a cui lo Stato centrale o gli enti locali e territoriali (regioni, province e regioni) devono riconoscere un corrispettivo.
Complessivamente, dunque, sul totale delle imprese italiane (4.383.000) il 4,9% è creditore della pubblica amministrazione: 215.493 aziende, insomma, corrono il rischio di licenziare i dipendenti, di chiudere in perdita un bilancio, di avviare una procedure di crisi, di trovarsi in una pericolosa condizione di insolvenza o, ipotesi peggiore, di imboccare la strada del fallimento. Tutto questo per colpa dei ritardi di pagamento della Pa.
Il consiglio dei ministri ha approvato un piano che prevede di saldare, entro settembre, tutto lo stock di debitiLa nuova procedura varata dal Governo stabilisce che tutte le fatture delle imprese verso la pa saranno caricate su una piattaforma elettronica di certificazione. La pa potrà pagarle entro 60 giorni, contestarle o certificarle immediatamente. Ottenuta la certificazione, l’impresa potrà cedere il credito a una banca con la formula del pro soluto. L’istituto di credito anticiperà la somma al posto della pa e poi si rivarrà su quest’ultima. In altre parole, la banca diverrà creditore della pa sostituendosi all’azienda e subentrando anche nel rischio di insolvenza da parte della pa.
“Ma nonostante gli auspici è assai probabile che tali attese saranno deluse. In realtà – spiega Luigi Scipione, docente universitario e membro del Comitato di presidenza di Unimpresa - si accumuleranno ancora ritardi significativi. Le principali difficoltà nel riconoscere tali crediti nascono dal fatto che buona parte di essi sono iscritti in poste fuori bilancio. Da qui l’impossibilità degli enti pubblici di riconoscere sic et sempliciter il debito a favore dell’impresa fornitrice”. Non solo.
“Il persistere di resistenze alla soluzione del problema va individuato – dice Scipione – ne l conflitto che si trascina da anni tra la Ragioneria dello Stato, che aderisce a una interpretazione restrittiva del problema, e coloro che, al contrario, propendono per una estensiva. Eppure, la ricetta per uscire da questa situazione di impasse è semplice. Per aggirare gli ostacoli frapposti dalla burocrazia sarebbe sufficiente inserire il meccanismo dell’autocertificazione da parte delle imprese dei crediti vantati verso la pa, allegando la relativa fattura. Questa soluzione è stata, peraltro, adottata con successo in Spagna”.
Secondo Scipione “l’immissione di questa grande quantità di denaro nell’economia agirebbe da volano per il nostro sistema economico riavviando un circolo virtuoso per la creazione di nuova ricchezza: consentirebbe di risollevare le sorti di migliaia di piccole e medie imprese sull’orlo del fallimento, di allentare gli effetti del credit crunch, di arginare l’avanzata della criminalità organizzata nel tessuto economico, di ripristinare un clima diffuso di fiducia, di attrarre nuovi investimenti dall’estero, di creare lavoro e, ultimo ma non meno importante beneficio, di accrescere le entrate fiscali.
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