Dopo averli lanciati all'evento Discover di Las Vegas dello scorso giugno, HPE ha presentato ufficialmente anche in Italia i suoi server
ProLiant Gen10. Un'evoluzione attesa dato che i precedenti Gen9 "datavano" al lontano 2014 e che in quattro anni circa il panorama del computing di fascia alta
è parecchio cambiato. Per questo il debutto della nuova generazione di server non è semplicemente un refresh tecnologico ma anche la presentazione di una
concezione di server in linea, secondo HPE, con le esigenze attuali delle imprese.
La partita dei ProLiant Gen10 si gioca infatti su tre tavoli: flessibilità, prestazioni e sicurezza. I primi due sono forse più tradizionali e comunque già trasversali all'offerta HPE in vari ambiti. La
sicurezza assume un ruolo di primo piano sia per alcune scelte tecnologiche fatte per i Gen10 sia perché è diventata di suo un elemento critico per le aziende: oggi su questo aspetto c'è una
pressione normativa molto alta, ad esempio con il GDPR, e i media sono in generale molto attenti a evidenziare le violazioni delle reti d'impresa.
E si sa che la situazione non è certo destinata a migliorare. Tanto che, spiega Clusit, molte imprese hanno deciso di aggirare il problema sicurezza
passando al cloud e trasferendolo quindi sulle spalle dei cloud provider, che hanno sicuramente una
maggiore capacità di investimento in tal senso. Questo ovviamente non riduce il bisogno di introdurre nuove funzioni di sicurezza nei prodotti IT, semmai il contrario.
Nei ProLiant Gen10 è stato scelto un approccio già seguito con successo nel mondo embedded: la
protezione del firmware di sistema attraverso una "root of trust" integrata direttamente in silicio. In questo caso il chip Integrated Lights Out (iLO) di ogni server crea e custodisce una sorta di impronta digitale del firmware di sistema. A ogni avvio la confronta con il firmware disponibile in quel momento e, se rileva un cambiamento,
blocca il bootstrap. In questo modo si impediscono gli attacchi al firmware, che oggi sono tra i più insidiosi e pericolosi.
Potenza ed elasticità servono
Gli altri due tratti distintivi dei ProLiant Gen10 sono la maggiore potenza rispetto alla generazione precedente e la conferma dell'approccio "elastico" nella gestione delle risorse IT. La transizione al cloud sembra aver messo in secondo piano la
potenza pura di calcolo che ci si può mettere on-premise ma non è proprio così, secondo HPE. Il cloud va bene per molte cose
ma non per tutte e ci sono aziende di ogni dimensione, anche PMI, per le quali avere in casa una buona dose di risorse di computing
fa la differenza tra potere o meno abilitare od ottimizzare determinati processi. Il mondo Industry 4.0 è solo un esempio fra i tanti.
Grazie a una
stretta collaborazione con Intel, HPE ha messo in grado i ProLiant Gen10 di offrire una notevole potenza elaborativa. Questo non deriva solo dall'adozione dei
processori Xeon SP di ultima generazione ma anche da una serie di ottimizzazioni mirate dell'hardware che sono peculiari dei nuovi server.
L'elemento forse più importante sta nella
gestione dinamica delle frequenze operative dei processori e anche di alcuni core. Un ProLiant "gira" a frequenze medie più elevate rispetto a un sistema generico che non ha questo livello di ottimizzazione e ciò significa poter fare di più a parità di nodi di calcolo. Inoltre il BIOS dei server prevede diversi
profili mirati da selezionare a seconda dell’utilizzo che si deve fare del server: agendo su una trentina di parametri operativi si ottiene un miglioramento del 5-6 percento in perfomance rispetto al profilo di default.
Da segnalare anche il
Jitter Smoothing, che riduce le oscillazioni di frequenza in Turbo Mode con i loro effetti negativi sul funzionamento delle applicazioni, e la funzione di
Core Boosting, che su alcuni modelli di server aumenta la frequenza di alcuni core oltre quella del Turbo Mode.
Passando al
concetto dell'IT "fluida", questo attraversa le strategie HPE
già da diverso tempo e ha concretizzazioni differenti a seconda della fascia di prodotti coinvolta. Nel caso dei ProLiant Gen10 il tema della
Flexible Capacity punta a trasformare di fatto l'hardware in un servizio: il "ferro" è on-premise ma l'esperienza d'uso è quella del cloud pubblico, con un canone basato sul consumo delle risorse IT che comprende anche il refresh tecnologico. Un buffer locale di risorse consente lo scale-up immediato nel caso di picchi di richieste di risorse.