Tecnologie emergenti e discontinuità del mercato del lavoro
La logica algoritmica e la tecnologia cognitiva associata ai big data sintetizzano e riducono processi intellettuali. La lotta tra conservazione e innovazione
Autore: Piero Macrì
Leggo da un articolo pubblicato sul sito del World Economic Forum che solo il 5% dei lavori oggi esistenti può essere completamente automatizzato. Di contro un 30% del tempo in cui si esplica un processo di lavoro può essere delegato a una macchina. Le conseguenze che derivano dalla sottrazione di una quota del lavoro da parte della tecnologia si potrebbe quindi tradurre in una perdita del 30% dei posti di lavoro. Il futuro si prefigura automatizzato e aumentato. Alcuni ruoli si riveleranno ridondanti, un modo elegante per dire che alcuni di coloro che oggi svolgono determinati lavori diventeranno un domani in-utili.
Se guardiamo a un qualsiasi ambiente di produzione, ci accorgiamo che processi complessi una volta considerati difficili da automatizzare sono oggi completamente asserviti dalla tecnologia. Ma non è solo la galassia della fabbrica ad essere investita dall’automazione. La logica algoritmica e la tecnologia cognitiva associata ai big data, sintetizzano e riducono processi intellettuali, Stabilire una diagnosi, identificare la corretta terapia o trattamento, sono solo alcuni degli esempi di come l’emergente tecnologia può introdurre nuova efficienza ed efficacia negli ambiti di lavoro più diversi innescando un aumento di produttività.
I cambiamenti più profondi, come quelli che stiamo vivendo nella nostra epoca, creano discontinuità e tendono a introdurre disordine in un sistema di relazioni consolidato nel tempo. Come sempre, per creare occorre distruggere. E’ una questione di equilibrio energetico. A meno che non prevalga la forma più inquietante della distruzione nella sua essenza più pura, generata dal rifiuto dell’esistente.
Se accettiamo l’idea della quarta rivoluzione industriale, la cui anima è digitale, ci troviamo in una situazione già sperimentata nelle precedenti dove si affermano due opposti schieramenti: da un lato i fautori della tecnologia come panacea del cambiamento, dall’altro i fautori della conservazione, coloro che vorrebbero riscrivere il presente con le regole del passato. Nè l’uno né l’altro sono la soluzione, che può nascere invece da una razionalizzazione del disordine per proiettare il tutto verso una nuova utopia di un mercato del lavoro sostenibile. Serve immaginazione razionale.
Si possono ravvisare una gran quantità di contraddizioni nelle dinamiche che mettono in moto i cambiamenti più radicali. Si pensi per esempio, uno tra i tanti, alle auto elettriche. Per lo più tutti auspicano e si dicono favorevoli a un passaggio massiccio a veicoli alimentati da batterie. Se tutto questo avvenisse dall’oggi al domani vorrebbe dire che l’attuale forza di occupazione, garantita da quella che possiamo ancora definire grande industria, si ridurrebbe di una percentuale significativa per il solo fatto che la produzione verrebbe drasticamente semplificata in termini di componenti causando una forte decrescita e riduzione di tutto l’indotto. Ancora una volta disordine e creazione di un nuovo mercato significa distruzione, parziale, dell’esistente.
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