Da oggi il GDPR agisce con tutte le sue prerogative ed ecco che sono subito arrivati
i primi ricorsi "simbolici", pronti evidentemente già da tempo e rivolti verso i grandi nomi dell'online. A presentarli è stato lo European Center for Digital Rights (per brevità anche
noyb.eu) di
Max Schrems, noto per diverse sue controversie con Facebook sul tema della privacy. E Facebook è al centro dei nuovi ricorsi, dato che questi riguardano
Google (per Android) ma anche proprio
Facebook e due servizi che fanno capo a Facebook:
Instagram e
WhatsApp.
Il nocciolo dei ricorsi è il tema del "
forced consent". I servizi citati da noyb.eu hanno presentato schermate e pop-up in cui viene chiesto di
accettare in blocco le loro nuove policy post-GDPR, indicando talvolta agli utenti che in caso contrario non avrebbero potuto più accedere al servizio usato sino ad oggi.
Secondo i reclami, il GDPR
vieta di condizionare l'utilizzo di un servizio a un consenso del genere. Inoltre, proprio la presenza di questa richiesta di consenso non è un buon segno. Il GPDR infatti non richiede un consenso esplicito per la gestione dei dati personali
strettamente indispensabili all'erogazione di un servizio. Se c'è una richiesta vuol dire, secondo noyb.eu, che i dati vengono usati per altri fini.
I reclami di noyb.eu sono stati presentati alle Authority di controllo di Francia, Belgio, Austria e Germania e quindi sono in rappresentanza degli utenti di quelle nazioni. Lo European Center for Digital Rights ha comunque
preannunciato altri ricorsi legati non più al "forced consent" ma all'utilizzo illegale dei dati degli utenti a fini pubbliciari e al cosiddetto "fictitious consent", cioè ai casi in cui le aziende considerano come consenso esplicito attività che non lo sono, come accedere a una loro pagina web.