La scorsa settimana uno scossone ha mosso il solitamente placido mondo del networking: un paio di report indicavano che
AWS stava lavorando alla realizzazione di uno o più switch da proporre commercialmente. L’indiscrezione ha ovviamente fatto rizzare le orecchie ai vendor del mondo networking, Cisco in primis: qualunque cosa Amazon decida di fare ha comunque un effetto importante sul mercato. Una
telefonata tra CEO (Chuck Robbins per Cisco e Andy Jassy per AWS) ha chiarito la questione: AWS non ha intenzione di lanciare nessuna linea commerciale di switch.
Tutto rientrato, quindi? Sì e no.
Tutto si gioca su quel “commerciale”: non vedremo switch griffati AWS sugli scaffali, ma questo non vuol dire che le indiscrezioni fossero infondate e che AWS non abbia in mente qualche switch da proporre ai clienti
come parte dei suoi servizi cloud. È una ipotesi che secondo alcuni osservatori di mercato ha un senso, molto più dell’idea di vendere commercialmente switch a prezzi “da Amazon”. Vediamo perché.
AWS
ha certamente le competenze necessarie a sviluppare switch ed anche server per datacenter. Tutti i principali hyperscaler lo fanno: invece di cercare nell’offerta dei nomi noti del networking qualcosa che faccia al caso loro, AWS, Google, Microsoft, Facebook e compagnia progettano i propri dispositivi e
se li fanno realizzare dai produttori ODM orientali. È un trend ampiamente consolidato da tempo, tanto che i prodotti “white box” stanno
cambiando la fisionomia stessa dei loro mercati.
Ma lo “switch di AWS” non avrebbe un grande senso commerciale. Gli switch e i server progettati dagli hyperscaler sono
fatti su misura per i loro datacenter, non sono prodotti generici e non è detto che andrebbero incontro alle esigenze di qualsiasi azienda. Lo dimostra il fatto che in ambito networking le
ricadute pratiche dello sviluppo interno degli hyperscaler sono sempre state poche, nel complesso. Facebook in particolare ha ceduto in open source molto del lavoro fatto per il suo
switch Wedge 100 e anche Microsoft ha “aperto” il suo
Azure Cloud Switch, senza però che questo portasse a un particolare incremento dell’open networking nelle imprese.
L’
open networking certo esiste, ma per le imprese è più semplice recepirlo attraverso i prodotti “branded”
dei produttori classici, che hanno le competenze per affrontarne gli aspetti tecnologici e per corredarli dei servizi di supporto. Difficile pensare che AWS trovi un vantaggio commerciale non solo nel vendere switch ma
anche nel supportarli, come sarebbe costretta a fare.
La questione cambia se consideriamo un possibile switch AWS non solo come un dispositivo che instrada pacchetti, sia pure in maniera sempre più sofisticata e software-defined, ma come un
punto fisico di interfaccia tra il cloud AWS e l’infrastruttura on-premise del cliente. In quest’ottica lo switch può diventare un elemento che semplifica la gestione di un ambiente di cloud ibrido, ottimizzando il traffico dei dati e dei workload. Fatte salve le debite differenze, qualcosa del genere l’abbiamo visto
anche di recente.
Pur restando nel campo delle ipotesi, questa ha una sua concretezza. Assodato che la strada da seguire per la maggioranza delle imprese
è quella del cloud ibrido, per i cloud provider come AWS mettere nei datacenter dei clienti anche dispositivi di rete ottimizzati potrebbe essere un modo per
ottenere un duplice vantaggio: da un lato semplificare la gestione dell’hybrid cloud e la migrazione delle applicazioni verso la nuvola, dall’altro legarli un po’ più strettamente a sé. Sempre, ovviamente, come ipotesi.