La diffusione delle prime applicazioni di
Robotic Process Automation e in generale delle funzioni di automazione (dalla robotica in poi) basate sulla
intelligenza artificiale e sul machine learning ha generato un dibattito acceso in merito agli
effetti che queste possono avere sul mondo del lavoro. Se sempre più funzioni si possono automatizzare, è la domanda più comune, che fine fanno le persone che prima le svolgevano?
Il campo è diviso tra chi teme una marcata riduzione della forza lavoro, almeno nei compiti a minor valore aggiunto, e chi sostiene invece che l'automazione software porta a lungo termine un aumento della forza lavoro. Lo sostiene anche
ManpowerGroup - la casa madre della piattaforma di recruiting Manpower - sulla base di
una indagine che ha compiuto su un campione di 19 mila aziende in 44 nazioni (tra cui anche l'Italia).
Il risultato principale dell'indagine è che globalmente solo una piccola parte (9 percento) del campione prevede, nei prossimi due anni, di ridurre il numero dei suoi dipendenti grazie alle funzioni di automazione. La maggior parte (69 percento) ritiene che
il numero dei dipendenti complessivamente non cambierà. Una percentuale significativa (18 percento) sostiene addirittura che la forza lavoro aumenterà proprio grazie all'automazione.
Questa percentuale di "ottimisti" varia molto quando si passa dalla media globale alle singole nazioni.
L'Italia è in linea con la media globale, ponendosi nella fascia 11-20 percento insieme a nazioni come Canada, Israele, Messico, Olanda, Spagna e Stati Uniti.
Il fatto che molte aziende prevedano di aumentare la propria forza lavoro non vuol dire che non subiranno una importante mutazione al loro interno. L'automazione - secondo queste imprese - porta benefici tali da non poter essere ignorata, ma comporta anche un
cambiamento sensibile delle competenze necessarie in azienda. La crescita nel numero dei dipendenti verrà dal "saldo" tra i posti di lavoro persi, collegati agli skill a basso valore aggiunto che non saranno più importanti, e i posti creati negli ambiti diventati di rilievo.
Uno di questi ambiti è prevedibilmente l'IT, anche perché l'automazione è collegata ai processi di digitalizzazione. Mediamente, il 16 percento delle imprese ritiene di aumentare il numero dei suoi dipendenti nei dipartimenti IT. Ma gli skill a cui le aziende daranno maggiore importanza in futuro sono - ed è anche logico -
quelli che l'automazione non può portare, ossia i cosiddetti soft skill. Comunicazione, pensiero critico, problem solving, capacità di analisi, disposizione all'apprendimento continuo sono caratteristiche che saranno richieste in tutti gli ambiti.
In questa evoluzione, ManpowerGroup sottolinea che quasi (94 percento) tutte le imprese
stanno seguendo più di un solo approccio per dotarsi delle competenze che servono loro. Lo scenario che vede i "vecchi" dipendenti scartati in favore dei nuovi certamente esiste, ma a quanto sembra per una quota marginale delle imprese.
Non è un caso che la strategia più gettonata (84 percento di citazioni) per acquisire nuovi talenti sia
l'upskilling, ossia la formazione dei dipendenti che già sono in azienda per orientarli verso percorsi di crescita. È una percentuale ancora più d'impatto se si considera che nel 2011 l'upskilling era una scelta strategica indicata solo dal 21 percento delle imprese.
La crescita dell'upskilling è legata anche al fatto che la strategia alternativa di talent acquisition più immediata -
l'assunzione di persone già preparate per gli skill ricercati - si è fatta più difficile. Ovviamente la persegue una fetta rilevante di aziende (il 72 percento per il campione ManpowerGroup) ma si scontra col fatto che gli skill più ricercati
si pagano a caro prezzo e, comunque, cambiano velocemente.