Infinidat, lo storage always on

Le proposte di livello enterprise della società israeliana nata da meno di dieci anni raggiungono nuovi traguardi

Autore: Edoardo Bellocchi

Infinidat prosegue nel suo percorso di innovazione nello storage enterprise. Che in meno di dieci anni di vita ha portato a un traguardo molto significativo: nel 2018, la società ha distribuito a livello globale oltre 4 exabyte, cioè 4mila Petabyte di dati di capacità totale. Lo racconta in un incontro a Milano a metà febbraio Eran Brown, Chief Technology Officer Emea di Infinidat, sottolineando che questo “non è l’unico ‘milestone’ che ha caratterizzato l’anno appena trascorso: nel 2018 abbiamo anche completato la nostra trasformazione diventando ora un’azienda che ha un portafoglio di prodotti e soluzioni, aggiungendo tra le altre l’offerta cloud e le soluzioni di backup”. Non solo: sempre nel 2018, prosegue Brown, “siamo stati indicati come Leader nel Magico Quadrante di Gartner relativo ai General Purpose Disk Array, con grande soddisfazione anche perché il riconoscimento è giunto a soli cinque anni dalla data in cui abbiamo iniziato a consegnare i nostri primi prodotti. Inoltre, Gartner ci ha messo in ottima posizione in termini di abilità di esecuzione e di completezza di vision, e questo sottolinea ancora una volta la nostra capacità di innovazione”. 



Eran Brown, CTO Emea di Infinidat

Circolo virtuoso

Per Eran Brown aver superato la soglia di 4 Exabyte nel 2018 nasce anche dal fatto che il mercato dei dati è sempre più ampio, “con sempre più aziende e organizzazioni che sono clienti da 1 Petabyte: non più solo utenti come i grandi fornitori di servizi cloud oppure le grandi banche, che sono i maggiori verticali ad aver tipicamente un grande bisogno di storage, ma anche gli istituiti di Ricerca o le Università, che utilizzano sempre di più i big data, e ormai comprano lo storage a colpi di Petabyte”. A ben guardare si tratta anche di una sorta di circolo virtuoso: “i costi dello storage in discesa stanno favorendo molte trasformazioni, come l’Intelligenza Artificiale, visto che istruire come si deve un modello di AI richiede quantità enormi di dati”, fa notare ancora Brown. 



La sfida dell’always on

Un altro degli aspetti più rilevanti è quello della disponibilità dei dati: “oggi quando le aziende hanno un’interruzione del servizio sanno esattamente quanto perdono, perché un cliente o un potenziale cliente in caso di downtime passa direttamente a un alto sito, ed è per questo che è cruciale che l’azienda, cioè i suoi dati, siano always on, ovvero sempre disponibili”, sottolinea Brown. Date le aspettative di disponibilità da parte dei clienti, per le aziende essere “always on” è quindi una sfida cruciale. “Quando si parla di disponibilità al 99,999%, ci si riferisce al fatto che il downtime è intorno a 5 minuti in un anno”, spiega Brown, evidenziando però che si tratta di un “dato fuorviante, perché ormai i dati sono distribuiti in numerosi luoghi diversi, ma soprattutto perché i sistemi, dopo un’interruzione dei dati di un solo minuto, impiegano molto più tempo a rimettersi completamente in piedi a causa di tutti gli intrecci dei diversi processi, in cui uno dipende dall’altro in maniera non lineare. Ecco perché nei processi organizzati delle aziende di oggi un’interruzione di soli 5 minuti dell’infrastruttura dati può tradursi in un’ora di downtime dei sistemi di business”.  



Daniela Miranda di Infinidat

Visione olistica

La soluzione? “Affrontare la sfida dell’always on in maniera olistica, senza comprare prodotti separati, in modo da ridurre la complessità e proteggere un numero più ampio di applicazioni, ragionando in termini di ‘single pane of glass’, evitando di pensare ai classici Tier 1 o Tier 2 ma operare per rimuovere le barriere dei processi”, spiega Eran Brown. In altre parole, superando il tipico schema del disaster recovery, per il CTO Emea di Infinidat “le aziende devono evolversi e procedere verso un’infrastruttura dati che possa supportare il ripristino in tempo reale, senza aggiungere altri livelli al suo interno”. Ecco quindi che Infinidat propone funzionalità come InfiniSync, una soluzione di data mirroring progettata per garantire tempi di ripristino e latenza pari a zero. Questa funzionalità si aggiunge a caratteristiche già note quali l’utilizzo di un approccio software allo storage che fa uso di algoritmi di Intelligenza Artificiale e di machine learning per ottenere prestazioni di tipo flash anche su tecnologia commodity, oltre che per garantire affidabilità “seven nines”, cioè 99,99999%, per un “always on” senza necessità di ulteriori strati tecnologici



Flessibilità totale

Con Daniela Miranda, Regional Sales Director South/East Europe, e Donato Ceccomancini, Country Sales Manager Italia, facciamo invece il punto sull’andamento del business. “Quello che è cambiato in questi due anni trascorsi da quando ci siamo presentati ufficialmente sul mercato italiano è che adesso ci conoscono tutti, e vi sono molti partner che ci vengono a cercare perché vogliono lavorare con noi perché riconoscono la nostra forte carica innovativa”, spiega Daniela Miranda, sottolineando che al Canale, dal quale passa praticamente tutto il business di Infinidat, vengono messi a disposizione numerosi programmi formativi e soprattutto rilevanti margini: “il nostro è storage enterprise allo stesso prezzo del midrange, con tutte le feature già comprese, arrivando anche a prezzi che sono la metà delle offerte più note, in modo da lasciare ampio spazio ai partner”.



Donato Ceccomancini di Infinidat

Ma non è solo una questione di prezzo, anzi di rapporto tra costo e qualità dell’offerta, perché un altro dei punti di forza di Infinidat è la flessibilità nella realizzazione delle soluzioni storage, che non prevedono costi per licenze e offrono scalabilità immediata nella capacità, oltre alla possibilità di acquistare soluzioni in cloud e in pay per use. Con in più la possibilità di provare le soluzioni per un mese, e in caso restituirle. Su quest’ultimo punto, Donato Ceccomancini racconta come Infinidat opera per superare le titubanze da parte di potenziali clienti che talvolta potrebbero esprimere scetticismo sulle proposte tecnologiche dell’azienda. La ricetta è semplice: “anche in Italia facciamo un grande uso dei Proof of Concept. Anzi potremmo quasi dire che nessuno dei nostri clienti ha comprato senza aver fatto un PoC, anche perché abbiamo un approccio molto metodico ai PoC: consegniamo ai clienti gli stessi i sistemi che andranno a utilizzare, con tutte le funzioni già presenti, e questo ci ha permesso di costruire il nostro successo”.

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