A relativamente pochi anni dalla sua "consacrazione" attraverso il fenomeno
delle criptovalute, la tecnologia
blockchain non può essere di certo più considerata come una novità. Lo ha certificato qualche tempo fa anche
Gartner, che nell'edizione 2018 del suo Hype Cycle delle tecnologie emergenti ha fatto transitare blockchain nel Trough of Disillusionment, ossia la depressione in cui entrano le tecnologie innovative che
non hanno soddisfatto le aspettative generate alla propria nascita. Aspettative che, va sottolineato, secondo il modello dell'Hype Cycle sono per definizione esagerate e rappresentano il Peak of Inflated Expectations in cui blockchain ancora rientrava secondo l'Hype Cycle del 2017.
Blockchain ci ha messo poco a passare dal picco di hype alla
positiva disillusione. Ora non sente più il peso della popolarità iniziale e punta ad applicazioni concretamente utili, avendo
fatto esperienza dagli insuccessi di alcuni progetti iniziali, che hanno permesso agli utenti potenziali di
capire meglio come muoversi, e soprattutto dai contributi che sono venuti da molti progetti pilota.
I ledger distribuiti sono un approccio
abbastanza astratto da poter essere usato
per molti scopi, le sperimentazioni pratiche stanno mettendo in luce
quali casi di utilizzo sono più indicati e per quali invece è meglio aspettare che la tecnologia maturi. L’attenzione dedicata a blockchain sta anche facendo riflettere sui suoi
possibili punti deboli, un elemento importante per attenuare i facili entusiasmi della prima ora.
Non tutto, infatti, è andato sempre bene. Gli analisti avevano già da tempo evidenziato che il grande interesse su blockchain aveva fatto scendere in campo, tra il 2017 e i primi mesi del 2018, aziende con competenze tecnologiche dubbie che volevano semplicemente
cavalcare la popolarità dei ledger distribuiti. Questo ha accresciuto la diffidenza delle imprese, che hanno affrontato blockchain con maggiore pragmatismo, e ciò, per certi versi anche paradossalmente, ha contribuito ad accelerare il percorso verso la maturità di blockchain.
Questa maturità peraltro non è affatto dietro l'angolo. Blockchain è catalogato fra le tecnologie che raggiungeranno la fase di
vera produttività entro 5-10 anni. Gli analisti non si aspettano ritorni rilevanti da blockchain prima del 2025. Serve tempo perché la tecnologia deve comunque migliorare in diversi suoi aspetti. E per un
elemento concettuale: molte aziende interessate a blockchain hanno piattaforme tecnologiche e modelli di business centralizzati, quindi fanno fatica a concepire soluzioni davvero innovative basate sulla
decentralizzazione.
Blockchain: tra sicurezza e dialogo
Dal punto di vista tecnologico c'è da lavorare soprattutto per
garantire la massima sicurezza delle reti blockchain. La novità del 2018 è stata che alcuni attacchi considerati semplicemente teorici si sono concretizzati, anche se in casi particolari. Diverse critpovalute hanno visto violata la loro infrastruttura blockchain con attacchi cosiddetti
“51 percento”, il che ha suonato
come campanello d'allarme per i fautori dei ledger distribuiti "aperti". Anche se, va detto, la stragrande maggioranza dei progetti blockchain prevede reti chiuse, "permissioned".
Nei “51 percent attack” una entità ostile riesce ad assumere il controllo della maggioranza della capacità di calcolo collegata a una blockchain e può di conseguenza
modificare le transazioni già condivise nei ledger distribuiti. Più precisamente le cancella - semplificando le cose, la procedura è tutt’altro che banale - e le sostituisce con quelle memorizzate in una sua blockchain privata creata in precedenza, le quali diventano la "verità" condivisa da tutti.
Il paradosso degli attacchi 51 percento è che
confermano la validità del concetto della “verità condivisa” che sta alla base della sicurezza per i ledger distribuiti. Mettono però in evidenza che il controllo di chi ha accesso a quei ledger diventa fondamentale nelle applicazioni enterprise e per servizi critici
come quelli finanziari. Proprio per questo
si usano blockchain “permissioned”, ma è opportuno quantomeno porsi il problema e cercare di rendere i propri ledger distribuiti il più sicuri possibile, sin da subito.
L’interoperabilità è un'altra questione
di particolare interesse. In prospettiva le varie reti blockchain dovranno essere in grado di dialogare fra loro, un problema che oggi non si pone perché i vari progetti realizzati sono quasi sempre chiusi. In linea di massima
la compatibilità tra reti diverse non è garantita, perché la piattaforma di base può essere differente (Ethereum, Bitcoin...) e comunque perché ogni progetto adotta strutture dati, funzioni e smart contract propri.
Al momento i due approcci più gettonati verso l’interoperabilità sono da un lato
aggirare il problema offrendo una sorta di
piattaforma unica su cui realizzare più reti, in logica quasi PaaS (Platform-as-a-Service), dall'altro sviluppare sistemi di
conversione che permettano il dialogo tra tecnologie e reti diverse, in una logica simile ai tradizionali sistemi EDI.
Il primo approccio viene logicamente spinto dai provider che già offrono piattaforme blockchain. Il secondo è un campo
più limitato e in forte evoluzione, le cui soluzioni si basano perlopiù sulla creazione di
una meta-rete di reti blockchain indipendenti, pubbliche o private, in cui ciascuna può consultare e validare le transazioni avvenute sulle altre.