Il
software open source oggi rappresenta la base delle infrastrutture IT nella maggioranza delle imprese. Ma il modello del software "libero" non è sempre stato così popolare. In particolare, si è sempre discusso sulla
sostenibilità di tale modello. Ossia, in sintesi, sulla capacità e l'interesse che le imprese hanno a
contribuire allo sviluppo comunitario. Idealmente, chi usa software libero lo "paga" partecipando al suo sviluppo. E non tutti sono in grado di farlo.
Il dibattito sulla sostenibilità del modello open source oggi è meno critico. Basta guardare al
matrimonio tra IBM e Red Hat per avere prova evidente che il modello
funziona eccome. Ma ha senso porsi ancora la questione da un'altra ottica.
Chi può contribuire meglio allo sviluppo open source? Da dove viene la maggiore carica innovativa?
Finora la risposta più ovvia a questa domanda è stata:
le grandi aziende tecnologiche. E i fatti confermano questa visione. Ad esempio, il mondo dei container software è strettamente legato a Kubernetes. Che oggi
usa chiunque ma che viene dallo sviluppo software di Google. Inoltre, ci sono le software house che sviluppano software
come proprio business. Il software open source non si paga in sé, ma quello che c'è intorno ovviamente sì.
Questa è la dinamica tradizionale del mercato software, in fondo. Oggi le piattaforme open source "muovono" l'IT delle aziende. Quindi
costituiscono opportunità di mercato che spingono le software house a parteciparvi. La potenzialità del mondo open source è però anche un'altra. Particolarmente interessante per il futuro. Favorire un modello di sviluppo che dà
maggior potere alle aziende utenti.
Open source fatto in casa
Forse non è vero che grazie ai componenti open source e allo sviluppo del cloud ogni azienda è diventata una software house. Come recitava qualche tempo fa uno slogan molto di marketing
ma anche un po' di sostanza. È però certamente vero che molte aziende hanno cominciato a sviluppare in casa
quello che non trovavano all'esterno. Grazie ad esempio alla sempre maggiore potenza, ma anche semplicità, delle piattaforme PaaS.
Aziende
che non sono software house hanno cioè sviluppato componenti open source che hanno poi reso disponibili a tutti. Componenti che avevano creato per soddisfare loro particolari esigenze. Ma che possono essere la soluzione alle problematiche di altre imprese. O
costituire una base per sviluppare altre soluzioni mirate.
Perché questo
dovrebbe essere meglio del modello tradizionale dello sviluppo, demandato alle software house? Perché una software house ha idealmente centinaia o migliaia di utenti diversi. Che può soddisfare con software open source generico, spesso infrastrutturale. Un'azienda utente ha problemi suoi specifici
che risolve in maniera mirata. Dal punto di vista del mercato quest'azienda idealmente "serve" una nicchia, magari piccola. E lo fa meglio di uno sviluppo generalista.
Peraltro, non parliamo di piccole soluzioni per problemi minori, applicativi. Molte grandi aziende hanno già sviluppato componenti open source di livello enterprise. Con
poco o nulla da invidiare alle creazioni di Google, Facebook e compagnia. Diversi esempi hanno fatto parte della cronaca (tecnologica).
Progetti di fascia alta
Tra i casi più citati troviamo quello di
Spinnaker. Un tool open source di
Continuous Delivery nato in
Netflix ma ormai tanto diffuso da avere il suo evento annuale dedicato, lo Spinnaker Summit. Anche
Cloud Custodian è un caso molto noto. È una piattaforma di cloud governance già molto diffusa e sviluppata da
Capital One. Cioè da un'azienda del mondo Finance. Oppure
Airflow, un tool per la gestione automatizzata dei workflow che oggi fa parte del mondo Apache ma è nato in
AirBnB.
Sempre più spesso sono le aziende utenti a risolvere non solo problemi pratici propri. Ma
anche le complessità tecnologiche che si trovano davanti per lo sviluppo stesso della digitalizzazione. Gestire una architettura distribuita di microservizi è difficile, nonostante quello che dicono i cloud provider?
Uber si è fatta in casa
Jaeger, una piattaforma per tenere traccia dei microservizi stessi. Monitorare i cluster di container è complesso? Per questo
Comcast, che di mestiere si occupa di broadcasting, si è fatta
kuberhealthy. E via dicendo.
Potrebbe essere questo il futuro del modello open source?
Non completamente, ma per una parte cospicua probabilmente sì. Resta indispensabile il lavoro delle
software house infrastrutturali alla Red Hat. E sarà sempre fondamentale il contributo delle
grandi realtà tecnologiche alla Google che fanno nascere grandi progetti open source dalla gestione della loro IT, altrettanto di fascia alta. Accanto a questo, il contributo delle aziende non-software sta diventando sempre più corposo e interessante. E spesso anche - qui sta il vantaggio -
più vicino alle esigenze immediate degli utenti "normali".