Entro i prossimi tre anni, il 53% delle aziende italiane prevede di trarre più della metà dei propri ricavi dal digitale: un dato sostanzialmente allineato con altri paesi europei, come Francia (57%), Germania (55%) e Regno Unito (53%). È uno dei risultati della ricerca condotta per
Workday, società fondata 15 anni fa e attiva nelle soluzioni cloud per la gestione del Finance e delle Risorse Umane, che ha
coinvolto a livello globale 998 top manager di funzioni aziendali chiave. Lo
studio, realizzato da Longitude, si è concentrato su come le aziende possono tradurre gli investimenti di trasformazione digitale in performance di business.
Se agilità fa rima con successo
Il dato principale emerso dalla ricerca è che vi è una forte correlazione tra crescita dei ricavi da digitale e agilità dell’azienda. Non è un caso che
le aziende che hanno adottato l’agilità organizzativa hanno il doppio di probabilità di trarre una quota significativa di ricavi dalle nuove proposte digitali e hanno
probabilità dieci volte maggiori di reagire ai cambiamenti del mercato con agilità e velocità, facendo crescere maggiormente i ricavi digitali.
“
Quando le aziende comprendono l’importanza dell’agilità e si attrezzano per raggiungerla, ottengono risultati migliori rispetto a quelle che non lo fanno. La tecnologia ha un ruolo fondamentale nell’aiutare le organizzazioni a diventare più agili, ma questo cambiamento non riguarda solo il modo in cui un’azienda innova e realizza nuovi prodotti e servizi”, spiega
Pierre Gousset, Vice president presales Emea di Workday.
Pierre Gousset, di Workday
Ostacoli all’innovazione
Sempre secondo lo studio,
l’82% delle imprese italiane intervistate ritiene di aver compiuto “progressi significativi” nella trasformazione del proprio business model per la creazione di una gamma di prodotti e servizi digitali: questo dato, forse un po' autoindulgente, colloca l’Italia al top tra i Paesi più innovativi in Europa dal punto di vista digitale.
Nonostante questa leadership, sussistono
vincoli all’innovazione digitale, relativi in particolare agli ostacoli derivanti da
cybersecurity, compliance e privacy, per il 49%, rispetto a una media generale del 42%, dai
sistemi legacy, per il 33%, e infine dalla
carenza di skill, sempre per il 33% degli intervistati italiani, contro il 29% degli altri Paesi.
Cinque punti chiave
Superare questi ostacoli richiede che le
aziende trasformino la loro organizzazione privilegiando l’agilità, che passa per cinque punti chiave, identificati dai risultati della ricerca in:
pianificazione continua, organizzazione flessibile e adattabile, gestione adeguata di talenti e skill, processo decisionale che coinvolga il più possibile, e infine misurazioni e controlli precisi e tempestivi.
Qui sta l'altro dato interessante della ricerca: per supportare la digital transformation
il cambiamento non deve riguardare solo una funzione inevitabilmente coinvolta come l’IT, ma anche Finance e Risorse Umane, in modo che siano il più possibile in grado di supportare la crescita e l’agilità necessarie nel digitale.
Ambizione digitale…
Un esempio rilevante in questo senso è quello di
Prysmian, società nata 15 anni fa dallo spin-off di Pirelli Cavi e attiva nel settore dei cavi elettrici e delle fibre ottiche. Quotata in Borsa dal 2007,
la società ha quadruplicato la propria dimensione in poco più di dieci anni.
Pur essendo in un ambito che più business-to-business non si può, Prysmian ha deciso da tempo di innovare digitalmente, per più di una ragione. Su tutte, spicca il fatto che “
se vogliamo essere di successo anche tra dieci anni, cioè nel 2030, dobbiamo iniziare a trasformarci oggi: il digital è una delle leve di trasformazione accanto all’innovazione di prodotto”, sottolinea
Stefano Brandinali, Chief Digital Officer di Prysmian, illustrando quella che in Prysmian si preferisce chiamare “
ambizione digitale”, invece della classica trasformazione digitale.
E che punta verso tre target ben definiti, il primo dei quali è “
modificare il nostro DNA, passando da essere un puro fornitore di cavi, cioè di hardware, a essere un provider di soluzioni, costruite integrando un layer software su un hardware che già sappiamo fare molto bene, come dimostra il nostro successo sul mercato”, prosegue Brandinali.
Stefano Brandinali, CDO di Prysmian
…e next practices
Il secondo obiettivo di Prysmian è quello di “
puntare sempre più sui dati, sul loro sfruttamento, per far entrare sempre più l’economia del dato nelle agende dei CIO, andando oltre alle best practice, che sono sicuramente importanti perché permettono di raggiungere ottimi livelli di efficienza”, spiega ancora Brandinali, sottolineando che “
oggi bisogna puntare alle ‘next practices’, per costruire qualcosa che oggi non c'è partendo dai dati: non c’è bisogno di mettere altri sensori alle nostre aziende, perché disponiamo già di molti dati, ma quello di cui abbiamo bisogno sono nuovi modi di interpretarli per trarne valore e decisioni di business”. Ultimo punto, non meno importante, è “
costruire una nuova leadership, puntando sull’agilità organizzativa”, conclude Stefano Brandinali.