Il telelavoro alla prova del Coronavirus: a che punto siamo? Parte 2 di 3

L’emergenza sanitaria in atto ha dato una forte spinta allo smart working, anche se non tutte le aziende sono pronte a queste modalità lavorative, come spiegano alcuni system integrator

Autore: Edoardo Bellocchi

Per capire meglio come le aziende stanno affrontando l'emergenza esplosa a seguito del Coronavirus, che ha spinto moltissime aziende ad adottare, tra le altre cose, modalità lavorative di tipo smart working, ImpresaCity ha interpellato alcuni dei system integrator italiani, scegliendoli tra quelli consultati per lo Speciale Modern Workplace del magazine di febbraio scorso.

Il tema, introdotto in questo articolo, vede di seguito riportate le risposte date alla domandaDal vostro punto di vista, quanto le imprese italiane sono pronte alla nuova concezione del telelavoro?”, mentre in un successivo articolo vengono riportate le risposte alla seconda domanda, ovvero “Quali sono le principali lacune, tecniche e organizzative, che alcune aziende devono colmare?”.


Aziende pronte?

Esaminando più da vicino quanto le imprese italiane possono essere considerate pronte alla nuova concezione del telelavoro, l’elemento organizzativo viene posto in primo piano da Daniel Sperandio, Head of Sales Operations di ACS Data Systems, che sottolinea come lo smart working nasca “per garantire sia al lavoratore sia all’azienda flessibilità e autonomia nel lavoro quotidiano. Da diversi anni questo trend si sta riflettendo nelle scelte e negli investimenti di molte aziende che cercano modelli organizzativi moderni che permettono di essere più reattivi e flessibili. Questi modelli richiedono investimenti in tecnologie ma anche un cambiamento nell’organizzazione e nella cultura aziendale in quanto si passa da una misurazione del lavoro in ore a una misurazione per obiettivi e risultati”.

In questo contesto, vista la situazione di emergenza sanitaria, “da scelta strategica, lo smart working è diventata una scelta necessaria per far sì che aziende o addirittura intere economie non si fermino. Le aziende che hanno già fatto dello smart working e dell’investimento in tecnologie cloud una scelta strategica, si trovano in una posizione decisamente migliore”, prosegue Daniel Sperandio, spiegando che “le aziende nelle quali organizzazione e cultura aziendale si sono evolute di pari passo, non hanno avuto problemi a confrontarsi con le restrizioni che hanno previsto il lavoro da casa. Tutte le altre aziende, e purtroppo non poche, sono invece dovute correre al riparo implementando soluzioni d'emergenza che comportano tuttavia diverse lacune. Inoltre, dal punto di vista organizzativo, si sono trovate scoperte e quindi con una situazione difficile da gestire e da controllare”.  

Il fattore culturale

Per Patrizio Labella, Managing Director di GCI System Integrator, “occorre operare una distinzione tra smart working e telelavoro. Lo smart working è il cosiddetto lavoro ‘agile’ o ‘flessibile’: un modello meritocratico, che si fonda sulla fiducia e sulla valutazione del risultato raggiunto. Quando invece si parla di telelavoro ci si riferisce semplicemente a un modello di lavoro ‘remotizzato’. Con l’emergenza Covid-19 abbiamo visto che per tanti dipendenti il lavoro da casa è stato attuato in tempi brevissimi. Questo dato mi permette di dire che spesso ciò che ostacola l’attuazione dello smart working è un problema culturale più che tecnologico: tante aziende erano già attrezzate per una modalità di lavoro flessibile, ma questa è stata attuata solo perché imposta dagli ultimi decreti. Oggi abbiamo conosciuto il telelavoro, ma domani faremo tesoro di questa esperienza per favorire lo smart working?

Punta il dito sul fattore culturale anche Fabio Luinetti, Country Manager di Citrix Italia, spiegando che “l’Italia paga un ritardo che è in primo luogo culturale e, purtroppo, anche il digital divide continua a rappresentare un problema, con alcune aree del Paese ancora prive di un’infrastruttura sufficientemente solida. Ma l’abitudine prevalente è quella di vedere comunque il lavoro come un luogo in cui recarsi invece che un modo di operare capace di restituire flessibilità e autonomia nella scelta di spazi e tempi e focalizzato sul conseguimento di un obiettivo, e quindi sulla responsabilità individuale".

Naturalmente, prosegue Luinetti, "ci sono sempre più aziende che, già da prima dell’emergenza, iniziano a capire il valore e i vantaggi legati a questa forma di lavoro, particolarmente adatta a un mercato che richiede flessibilità e mobilità. Per questo il nostro concetto di lavoro smart non è semplicemente ‘lavorare da casa’ o da remoto, ma è la creazione di uno spazio digitale sicuro e unificato che segue l’utente ovunque, mettendo a sua disposizione tutte le risorse di cui ha bisogno con un singolo accesso”.

C’è però “un elemento positivo che ci lascerà questa situazione di emergenza - fa notare Alberto Roseo, Managing Director e Chief Revenue Officer di Gruppo Lutech - : sarà una forte presa di coscienza delle potenzialità dello smart working persino per i più scettici. Anche se l’implementazione, forzata dagli eventi, è stata più di remote working, abbiamo assistito a un’esercitazione nell'applicazione di questo paradigma che nessuno avrebbe mai potuto programmare. Ora la sfida per gli interpreti della Digital Transformation come Lutech è fare in modo che, rientrata l'emergenza, tutto questo diventi punto di partenza verso un nuovo modo di lavorare e collaborare più smart”.  


Sulla buona strada

Più in generale, Rosario Blanco, Vendor Commercial Director di Westcon, commenta che “siamo sulla buona strada. La nostra offerta tecnologica ci sta consentendo di abilitare efficacemente e rapidamente capacità di telelavoro ad aziende di qualunque dimensione afferenti a molteplici settori produttivi. Formazione dei lavoratori e spirito di collaborazione completano il successo di tali progetti”, mentre Cristina Bonino, Amministratore delegato di Consoft Sistemi, fa sapere che la sua azienda “da tempo sostiene l’adozione di modalità di lavoro in smart working, al fine di soddisfare la sempre maggiore richiesta di attenzione al welfare aziendale e di rendere effettivamente i processi sempre più digitali".

Ma, conclude la manager, "fino a oggi abbiamo riscontrato una certa diffidenza nell’adottare questa modalità operativa da parte di alcune imprese. In realtà quello che sta succedendo in queste settimane è spesso stato spostare le attività che vengono erogate dall’ufficio a casa, mentre lo smart working, invece, ha la peculiarità di lavorare per obiettivi su task concordati. Lavorando con grandi clienti, come Banche, Assicurazioni, Pa e Pal, Servizi e Industria, possiamo affermare che la maggior parte delle organizzazioni si è adoperata nel miglior modo possibile per affrontare l'emergenza e ci fa sperare che nel futuro lo smart working potrà più facilmente trovare il suo giusto spazio”.

L'articolo prosegue: qui la terza e ultima parte

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