Avete presente quelle foto scattate durante le vacanze conservate nella fotocamera? Un giorno potrebbe capitare di volerle rivedere o mandare a qualcuno. Ma nella maggior parte dei casi, quelle foto
occupano solamente spazio. Se questo si ripete abbastanza spesso, arriverà il giorno in cui non si avrà idea di cosa contiene la fotocamera a causa dell'enorme quantità di file memorizzati.
Lo stesso accade su scala più ampia
anche alle aziende. Ogni giorno vengono salvati o raccolti dati, e occorre tempo affinché qualcuno si renda conto che sui server sono mantenute enormi quantità di informazioni inutili. Sono quelli che chiamiamo
Dark Data: Gartner li definisce come quegli asset informativi che le aziende raccolgono, elaborano e conservano nel corso delle normali attività di business, ma che generalmente
non vengono utilizzati per altri scopi quali l'analisi, le relazioni di business e la monetizzazione diretta.
Conservare e proteggere dati inutilizzati comporta spesso oneri, e a volte anche rischi,
di entità maggiore rispetto al loro stesso valore. Eppure, l'esistenza di questi dark data non può essere ignorata: secondo l'Heinz College della Carnegie Mellon University, circa il 90% delle informazioni in possesso di un'azienda rientra in questa categoria dal momento che si tratta in genere di
dati conservati puramente a scopo di compliance. Per Deloitte la quota generalmente accettata è da tempo pari all'80% - tanto che si parla di una "regola dell'80%" - anche se stime recenti avvicinano questo valore al 90%.
Mauro Bonfanti, Regional VP EMEA di Pure StorageL'utilizzo di questo tipo di dati non dovrebbe essere limitato solamente a necessità normative e di compliance, in quanto tali informazioni
potrebbero rivestire una certa utilità per i decision maker.
In questo senso,
l'analisi dei dati è fondamentale. Sapere quale tipo di dato possa essere utile e debba quindi essere conservato rappresenta un differenziale che può avere un impatto diretto sui costi dell'azienda. Trasformare questo dato in informazione di elevato valore è poi un altro punto che occorre tenere in considerazione.
Secondo una ricerca globale sulla qualità dei dati condotta nel 2019 da Serasa Experian, il 95% delle aziende è convinto che
una scarsa qualità dei dati influisca negativamente sull'interazione con il cliente, sulla reputazione e sull'efficienza operativa. Diviene così sempre più evidente che il modo migliore per affrontare la situazione sia quello di applicare una base analitica ai dati
ancora prima di procedere alla loro conservazione. Prima queste informazioni vengono strutturate, prima è possibile sapere cosa dovrebbe rimanere a disposizione e cosa invece dovrebbe essere archiviato.
È sempre possibile effettuare l'analisi in un secondo momento. A fronte di miliardi di file che molte aziende conservano, non è certo possibile procedere a un'analisi manuale, ma esistono diversi tool che sfruttano tecnologie avanzate come quella all-flash, l’intelligenza artificiale e il machine learning per
categorizzare quanto merita di essere utilizzato ed eliminare invece ciò che è completamente inutile per l'azienda. Questo tipo di gestione delle informazioni diventa essenziale per il futuro delle aziende dal momento che consente
un accesso intelligente al suo asset più prezioso e ne mantiene la continuità offrendo importanti strumenti decisionali al passo con l’evoluzione dei dati stessi.
Mauro Bonfanti è Regional VP EMEA di Pure Storage