L' acquisizione di Red Hat da parte di IBM è destinata a far discutere molto il mondo IT. Ci si interroga su come la prima cambierà una volta entrata a far parte della seconda
Autore: Redazione ImpresaCity
L' acquisizione di Red Hat da parte di IBM è destinata a far discutere molto il mondo IT. Ci si interroga su come la prima cambierà una volta entrata a far parte della seconda, di come evolveranno i prodotti dell’una e dell’altra, di quali manager ci guadagneranno dalla fusione delle due organizzazioni. Quello che per ora solo alcuni esponenti di Red Hat hanno sottolineato è che l’acquisizione assume anche un importante significato “culturale”, pur sempre restando nell’ambito tecnologico: la rincorsa dell’open source alla patente di affidabilità che qualche tempo fa apparteneva solo al software proprietario è finita. Il fatto che IBM voglia trasformarsi - perché in fondo il succo dell’acquisizione è questo - assorbendo Red Hat chiude il cerchio: l’azienda legacy per antonomasia (almeno nell’immaginario collettivo dell’IT, perché poi sappiamo che la realtà è diversa) sposa letteralmente l’approccio open source.
Certo le cose non sono proprio così nette. L’open source è in crescita da anni e chi si occupa di tecnologie sa che i progetti più innovativi da tempo vengono dal mondo open. Ma quello che conta ora non è tanto una analisi tecnologica quanto lo sdoganamento definitivo dell’open source nella visione delle imprese utenti. E meglio ancora, in quella delle aziende che per ora l’open source l’hanno solo sfiorato.
Perché se IBM mette sul piatto 34 miliardi di dollari per l’open source, vuol dire che questo vale.
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