Ricordate il mantra per cui gli utenti sono ben lieti di concedere i propri dati in cambio di servizi (più o meno) personalizzati? Bene, non vale più. O meglio: nella pratica vale ancora, nel senso che gli utenti cedono ancora tranquillamente i propri dati senza saperlo, facendo clic o tap sul pulsante “Acconsento” ogni volta che lo vedono, pur di toglierselo davanti.
Ma come strumento di marketing non vale più. Anzi, vale esattamente il contrario: oggi la privacy vende molto più che la gratuità dei servizi online. Per Facebook “il futuro è privato” (Mark Zuckerberg, all’evento F8 per gli sviluppatori), per Google “il presente è privato” (Sundar Pichai, al Google I/O), per Apple... beh, Apple ha realizzato addirittura uno spot pubblicitario per iPhone tutto incentrato sulla privacy.
Ma Apple vende hardware ed è logico che voglia presentarsi come “gestore” affidabile delle informazioni che transitano per i suoi smartphone. Facebook e Google invece vendono pubblicità (sì, in fondo quello è il business): come si inquadra un cambio di rotta verso la privacy per due aziende che hanno intrinsecamente bisogno di dati per andare avanti? Facebook e Google poi sono solo gli esempi macroscopici, ci sono poi miriadi di aziende che ancora puntano ai dati dei loro utenti.
Eppure il vento è cambiato. Non molto ancora, forse, ma è cambiato. Non tanto nella Silicon Valley quanto a Washington
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