Per
Matt Calkins, CEO di
Appian, le settimane della pandemia e del lockdown hanno dato alle aziende un segnale forte. "
Oggi abbiamo una nuova visione del cambiamento, perché le aziende hanno scoperto che è fondamentale avere la capacità di cambiare rapidamente", spiega. E il lato software ha avuto un ruolo critico in questo scenario. Grazie alla capacità di
creare rapidamente nuove applicazioni, o di mettere insieme quelle esistenti in modi nuovi, le aziende hanno potuto continuare ad operare e a dialogare con clienti e dipendenti.
"
Un'applicazione può dare forma a un'azienda, in situazioni di emergenza", sottolinea Calkins. Ponendo come esempio significativo Appian stessa. Che nella pandemia ha
messo in campo velocemente tre applicazioni da usare per restare operativi. "
Noi siamo una piattaforma per il cambiamento, ecco perché molte aziende si sono basate su Appian per gestire il loro cambiamento nella crisi".
Le cose non cambieranno poi molto per il prossimo futuro. Perché ora la gran parte delle imprese dovrà trovare nuovi modi per fare quello che faceva prima. O magari altre cose, migliori. E
semplificare il business con la tecnologia rende un po' più facile gestire il cambiamento. Che comunque ci sarà, perché tutti sono alla ricerca di un "new normal" che non può essere semplicemente tornare alle condizioni pre-pandemia.
A indicarlo sono alcune aziende che Appian ha coinvolto nel suo Appian World 2020 virtuale. E che hanno affrontato direttamente la questione pandemia. Di certo lo ha fatto la
NHS, la Sanità pubblica britannica. Darren Blake, COO del Bexley Health Neighbourhood Care, ha vissuto "
una digital revolution che si è concretizzata in termini di settimane: non è qualcosa da cui si possa tornare indietro". E per Darin Cline, EVP of Operations di
Bank of the West, "
A cambiare sono gli stessi comportamenti delle persone. Ad esempio non penso che vedremo più tanti clienti andare nelle filiali o ai bancomat. Il mondo è cambiato profondamente in termini di adozione del digitale".
L'importanza dell'automazione full stack
L'automazione è la componente tecnologica che può portare alle aziende la flessibilità necessaria a gestire il cambiamento, in generale. Oggi la "
stella polare dell'automazione", per Matt Calkins, è
integrare sinergicamente AI, RPA e persone. Combinando nello stesso workflow i
digital worker e il personale umano.
"
Ciascuna di queste tre componenti - spiega il CEO di Appian -
ha i suoi punti di forza e di debolezza". L'AI ad esempio può dare raccomandazioni ma è meglio che non prenda decisioni. Quelle le prende il personale umano, che sa anche gestire le eccezioni. Cosa che la RPA non fa bene, ma sa gestire i compiti ripetitivi. "
Insieme, AI, RPA e persone possono fare molto più che separatamente, anche per compiti molto semplici... In compiti complessi, combinarle rende possibile fare cose che prima non erano possibili", commenta Calkins.
Matt Calkins, CEO di AppianL'obiettivo, insomma è chiaro. E non solo ad Appian. "
Tutti sappiamo dove dobbiamo arrivare ma sinora ci siamo avvicinati per strade diverse", spiega Calkins. È un po' la solita questione:
se hai un martello, i problemi da affrontare diventano tutti chiodi. Quindi chi propone RPA vede nella Robotic Process Automation la soluzione a tutti i problemi dell'automazione. Chi punta sull'AI considera solo i bot. Chi viene dalla BPA pensa ai workflow e alle regole.
Per Matt Calkins "
dobbiamo allontanarci dal problema e considerarlo olisticamente". Il che significa offrire uno stack completo di funzioni e componenti di automazione. Workflow, case management, RPA, AI, regole, API...
tutto insieme e tutto integrato. Appian ora ritiene di poterlo fare. E ritiene anche che questo sia il suo elemento distintivo.
Il tassello mancante della RPA
Il punto di svolta nella nuova proposizione "full stack" per l'automazione è stato, lo scorso gennaio,
l'acquisizione di Novayre Solutions e della sua piattaforma Jidoka di RPA. Con questa operazione Appian ha acquisito la componente RPA che le mancava. E l'ha trasposta in una nuova forma. "
Volevamo - spiega Calkins -
portare la RPA al buyer tipico di Appian, che è il CIO. Questi ha priorità differenti rispetto a chi di solito sceglie piattaforme di RPA".
Il salto da Jidoka ad Appian RPA è stato breve - un paio di mesi - e si è incentrato soprattutto sul portare alla RPA caratteristiche specifiche di
sicurezza, governance e scalabilità. Quello che interessa maggiormente ai CIO, insomma. Con in più una forte connotazione di
apertura perché, sottolinea Calkins, "
Per i clienti, ma anche per noi, la open automation è la cosa migliore". Così lo stack di Appian si apre anche ad altre piattaforme di RPA. Come quelle di BluePrism, UiPath e Automation Anywhere.
Ma se "
Appian RPA è stato il più grande investimento del 2020" - come spiega
Malcom Ross, Vice President Product Strategy e Deputy CTO - c'è altrettanta attenzione sulla parte di
machine learning. Parliamo di AppianAI, che utilizza le
funzioni AI di Google Cloud per acquisire componenti di analisi del linguaggio naturale, OCR, analisi della immagini, traduzione in varie lingue. Capacità che oggi vengono concentrate nella parte di
analisi ed elaborazione automatica dei documenti. Per estrarne informazioni strutturate e non strutturate.
Approccio full stack e apertura affiancano due plus tradizionali di Appian. Da un lato collegarsi ai dati aziendali
là dove sono, senza richiedere nuove architetture delle informazioni. "
Rispettiamo l'azienda per come l'avete costruita nel tempo", sintetizza Calkins. Poi c'è il vantaggio dell'
approccio low-code. "
Low-code è velocità. E la rapidità oggi è ancora più importante, come abbiamo visto nella crisi. La rapidità nello sviluppo è flessibilità", sottolinea il CEO.
A tutto sviluppo low-code
Per Appian lo
sviluppo low-code non è una parte limitata dello sviluppo in generale. Magari una parte tecnicamente minoritaria per chi non sa macinare codice.
Si appresta invece a diventare "lo" sviluppo. "
Low-code è come le applicazioni saranno scritte in futuro", spiega senza mezzi termini Matt Calkins. Un futuro in cui siamo già entrati perché sono gli anni Venti di questo secolo.
"
Molti dicono che l'approccio low-code è solo per piccole applicazioni e per i citizen developer. Noi pensiamo che non sia così. È un modo per creare anche applicazioni importanti e mission critical, coinvolgendo i dipartimenti IT", commenta il CEO. Una evoluzione giudicata
inevitabile perché la richiesta di applicazioni cresce in maniera esponenziale. E anche facendo produrre codice a tutti gli sviluppatori possibili, non riusciremmo a soddisfarla.
Malcom Ross, Vice President Product Strategy e Deputy CTO di AppianSe non bastasse questa considerazione, prosegue Calkins, "
c'è un tech debt che sta crescendo al ritmo in cui crescono le applicazioni... quindi un problema che sta diventando esponenzialmente peggiore". È il "debito tecnologico" legato alla manutenzione e al refactoring delle vecchie applicazioni e dei vecchi sistemi. O alla necessità di sviluppare in fretta. O di mettere mano a componenti mal sviluppati e mal documentati.
Lavoro che non porta valore e che abbatte di molto la produttività degli sviluppatori.
Ceto
qualche riluttanza del mercato di fronte all'approccio low-code ancora c'è. E Appian non la nega. "
Per le aziende - concede Calkins -
scegliere il low-code a volte sembra una questione di fiducia. Non vogliamo che sia così, vogliamo che le aziende siano sicure di poter passare da un foglio bianco ad una applicazione critica". Serve certezza nei modi e nei costi delle implementazioni, e di questo se ne occupa direttamente Appian con programmi ad hoc. Servono anche
competenze e soluzioni. Che stanno arrivando anche grazie al lavoro dei grandi partner come Pwc, Accenture, KPMG.