Siamo ufficialmente entrati nella
Fase 2, il post-coronavirus. Dovrebbe essere
la fase del rilancio. Come simboleggia il nome del
decreto che ci porta nella nuova fase. Ma al momento più che di rilancio sembra potersi parlare di "ristoro", un altro termine che abbiamo imparato in queste settimane. L'economia nazionale si è quasi fermata per un paio di mesi. Conta
ripristinare indirettamente quello che è stato perduto. Con indennizzi, compensazioni, bonus, sgravi, crediti d'imposta. Ma con poca visione a medio-lungo termine, nonostante certe dichiarazioni.
Intendiamoci,
la politica è anche questo. In questa Fase 2 è necessario anche rimettere, più o meno direttamente e rapidamente, soldi in tasca alle aziende. Sperando poi che queste li usino nel modo migliore. Ma spesso si dice che ogni grande crisi è anche una grande
opportunità di cambiamento. Per coglierla - ed oggi è essenziale farlo - non basta la speranza che le imprese facciano il loro meglio. Sarebbe stato opportuno dare anche qualche linea di indirizzo.
Diversi commentatori hanno fatto notare che la logica dei contributi a pioggia nasconde una certa diffidenza verso le aziende. Intese come
fattore primario di rilancio in questa Fase 2. Si riconosce che le imprese hanno sofferto e le si indennizza in qualche modo, nel breve termine. Ma nei 155 miliardi di euro del Decreto Rilancio manca quasi completamente una
visione tecnologica e digitale per la ripresa. Eppure, le imprese che hanno affrontato meglio il lockdown sono state,
con tutta evidenza, quelle maggiormente digitalizzate e tecnologiche.
Sì, c'è lo
smart working. Che comincia a diventare il Mito dell'innovazione da Fase 2: basta citarlo e sembra che abbiamo risolto la Trasformazione Digitale. Certo
dare rilevanza allo smart working è importante perché in Italia se ne è sempre fatto troppo poco. Perdendone i molti vantaggi. Che sono invece diventati evidenti nella crisi. Ma dare un limitato via libera al "lavoro agile" fino alla fine dell'emergenza epidemiologica, o al massimo fine anno, non cambia lo stato delle cose.
Dagli oltre 250 articoli del Decreto Rilancio traspare la volontà di chiudere una Fase 1 con la logica dell'indennizzo. Qualcosa per tutti, in fondo, nel Decreto si trova. Per il vero rilancio della Fase 2
lo Stato pare invece passare la palla alle imprese. Sono loro che devono capire quale "new normal" devono affrontare. E come devono cambiare per farlo. Era proprio così impossibile
dare loro una traccia da seguire? Sullo stile, per intenderci, del Piano Industria 4.0?
Eppure gli esempi, volendo, ci sono. Anche più economici del Decreto Rilancio. La Corea del Sud, ad esempio, in queste stesse settimane ha lanciato un
New Deal triennale da otto miliardi di dollari che comprende investimenti mirati sull'innovazione tecnologica. A favore di
progetti in campo Big Data, AI, infrastrutture digitali, robotica. Con l'idea che i progetti possano creare circoli virtuosi tra pubblico e privato.
Stiamo attraversando una crisi che è stata spesso definita "inimmaginabile". Per una limitata capacità di immaginazione, viene da pensare, perché in effetti una pandemia stile Covid-19 era stata ampiamente anticipata. Ma
di immaginazione ora ne serve alle imprese. Tornare come si era prima sembra impossibile. E nemmeno auspicabile, in fondo. La strada verso il nuovo è fatta di una
accelerazione della digitalizzazione, che ora è praticamente obbligata. Peccato che manchi una regia trasversale, un coordinamento che avrebbe aiutato tutti. Specie i più piccoli. Invece, spazio all'immaginazione di ciascuno.