Nel post-Covid una accusa fatta da più parti al Governo italiano è stata quella di aver creato
sin troppi comitati per decidere come affrontare la situazione e come, dopo,
ripartire. È una annotazione chi si fa di frequente, per Governi di qualsiasi colore e su qualsiasi tema. Il rischio è che contestando il metodo - i comitati di esperti - si finisca per perdere di vista il risultato che ha prodotto. Rischio che corrono anche le
Proposte per una Strategia italiana per l'intelligenza artificiale elaborate dal Gruppo di Esperti MiSE sull’AI.
Sgombriamo subito il campo dai dubbi.
C'è davvero molto di buono nel documento che è stato prodotto. C'è una visione che appare corretta e al passo con i tempi dell'intelligenza artificiale e e delle sue potenzialità. Ci sono consigli pratici utili per il Governo, la PA e le imprese. Sono
messi in evidenza temi importanti che riguardano l'AI in generale e le sue applicazioni. E, cosa che non guasta di certo, il
documento è anche una buona introduzione all'AI applicata per i meno tecnici. O per i non tecnici in assoluto.
I più
pragmatici devono solo avere la pazienza di andare oltre la prima metà del documento circa. Che è puramente di scenario, o quasi. E magari fare qualche scongiuro scaramantico all'idea, subito presentata, della
RenAIssance. Intesa come "possibilità di un nuovo Rinascimento reso possibile dall'AI". Non perché l'idea non abbia un suo valore. O perché venga troppo cavalcata dagli esperti. Ma perché di iniziative di "Rinascimento digitale"
ne abbiamo viste sin troppe. E pochissime hanno
portato qualcosa.
Ma anche nella parte di scenario delle Proposte per l'intelligenza artificiale sono poste questioni che andrebbero sempre tenute ben presenti. E che spesso non lo sono. Il primo è che
l'AI non esiste da sola ma oggi fa leva su uno stack tecnologico esteso. Il secondo è che il valore dell'AI
viene dai dati che può maneggiare. E questi, di conseguenza, non possono essere concentrati nelle mani di pochi. Il terzo è che l'AI non è una intelligenza "umana" ma deve essere
antropocentrica. È il tema
dell'etica e della inclusività dell'AI.
Una visione trasversale
Le proposte del comitato MiSE possono essere viste in una duplice ottica. Da un lato c'è l'attenzione specifica a tre macro-aree per così dire "di metodo".
AI per l'essere umano, AI affidabile, AI sostenibile. Dall'altro lato sono descritte sei aree di sviluppo verticale dalla connotazione molto più pratica.
Industria, servizi, ambiente, difesa, PA, cultura. Ancora una volta, i più pragmatici non devono farsi scoraggiare dalla apparente connotazione umanistico-RenAIssance delle prime tre macro-aree.
La loro impostazione è molto più concreta di quanto non sembri a prima vista.
È importante ad esempio che "AI per l'essere umano" non esprime solo l'idea che le applicazioni di intelligenza artificiale devono essere rispettose delle necessità concrete e
dei diritti delle persone. Indicano anche che
il rapporto è in qualche modo simmetrico. Come si deve pensare a una AI "giusta" per le persone, ci si deve anche porre il problema di come le persone possano approcciare nel modo "giusto" l'AI.
Qui l'AI viene presentata nell'ottica dell'Augmented Intelligence e non solo dell'intelligenza artificiale. L'AI cioè che non agisce in maniera "opaca" dietro le quinte ma che
interagisce costantemente con le persone. Che per interagire con essa, e comprenderne gli effetti, devono essere
adeguatamente informate e formate. Il che rimanda ai temi della formazione scolastica e universitaria, della formazione continua, di come cambiano
le modalità di lavoro, dello sviluppo pubblico-privato, della cultura generale delle persone.
Intelligenza artificiale, imprese, PA
Le proposte pratiche del MiSE per l'AI sono da ampio spettro. Come si vede dalla focalizzazione su sei ambiti verticali. C'è però una attenzione particolare alle applicazioni della cosiddetta "
embedded AI". Ossia le applicazioni di intelligenza artificiale
in campo industriale e manufacturing, unite alla decentralizzazione dell'
edge computing. L'idea di fondo è che, per un Paese a forte vocazione manifatturiera come l'Italia, sia critico recepire immediatamente i benefici dell'AI in tale settore.
In questo senso le proposte appaiono come una
ideale prosecuzione del compianto Piano Industria 4.0. Anche perché l'AI, come accennato, resta poca cosa se non si sviluppano insieme ad essa, e spesso anche prima, le alte componenti infrastrutturali del suo
stack tecnologico. Componenti che già dal Piano Industria 4.0 dovevano ricevere una spinta importante.
Gli esperti del MiSE
vedono poi nella PA italiana il "volano della RenAIssance". Cosa che qualche dubbio inevitabilmente lo fa venire. Non perché l'AI non faccia molto bene anche alla PA, potenzialmente. Ma perché - tranne rari casi - la PA italiana non è mai stata, storicamente, il volano di alcuna evoluzione tecnologico-digitale importante.
Potrebbe esserlo, negli scenari delineati dal documento degli esperti. Se adottasse un approccio simile a quello di altre nazioni europee.
In quest'ottica, la PA ricopre tre ruoli essenziali. In primis è un
grande utente di soluzioni di intelligenza artificiale. Punta a servizi di smart government, i quali permettono in particolare un approccio di evidence-based policymaking. Un "legislare basandosi sul concreto" verso cui però, lo ammettono gli stessi esperti, i politici e gli amministratori nazionali sono sempre stati
diffidenti.
In secondo luogo la PA è un
grande produttore, consumatore e trasformatore di dati. Quindi può agevolare la diffusione della data economy e in particolare degli open data. Infine, la PA può creare, concretamente e
legislativamente, le condizioni e gli ambienti ideali per lo sviluppo di soluzioni e servizi basati sull'intelligenza artificiale. Anche agevolando in modo particolare aziende e servizi che normalmente non avrebbero accesso al mercato.
Serve una cabina di regia
Fa un po' effetto che, alla metà del 2020, l'ennesimo comitato di esperti indichi che per far avanzare tecnologicamente il Paese
serva l'ennesima cabina di regia. Se ne capisce
il motivo, che è ovvio: le tecnologie della digitalizzazione sono trasversali, quindi vanno affrontate come uno stack integrato e toccano tutti gli ambiti della nazione. Quindi non sono "patrimonio" di un unico Ministero. Ma proprio perché questa constatazione è ovvia,
viene da chiedersi con che logica siano allora nati sinora i vari Misteri, Agenzie, Task Force e compagnia. Pazienza.
La nuova ipotetica "catena di comando" per la digitalizzazione nazionale e l'AIIl nuovo documento propone in pratica di adottare il modello tedesco. Creando una realtà che possa "consigliare la politica riguardo alla definizione delle strategie sulla scienza e la tecnologia con un approccio evidence-based". Questa realtà è la
Cabina di regia interministeriale sulla trasformazione digitale del Paese. A questa cabina di regia sarebbe collegato un nuovo organismo specifico dedicato allo sviluppo dell'AI in Italia. Lo
I3A: Istituto Italiano per l'Intelligenza Artificiale.
L'ipotesi è abbastanza ambiziosa. Creare una sorta di Max Planck Institut italiano che potrebbe fare conto su 1.000-1.300 persone e
finanziamenti pubblico-privati per un centinaio di milioni di euro l'anno. Strutturato in un centro nazionale da circa 600 persone e una decina di "satelliti" collegati alle principali Università e centri di ricerca sul territorio. Una SpA collegata al I3A si occuperebbe di
concretizzare la ricerca dell'Istituto, attraverso collaborazioni con le imprese.
Lo I3A si dovrebbe anche occupare dello sviluppo di una infrastruttura di calcolo ad alte prestazioni (HPC). Indispensabile ovviamente per le attività collegate all'intelligenza artificiale. La proposta in questo senso non è realizzare un nuovo supercomputer nazionale. Ma
creare invece una rete di diversi edge data center specializzati per l'AI. Costo: circa 35 milioni di euro per un sistema distribuito da 50 petaflop. Al netto dell'infrastruttura di connessione tra i data center stessi.