Roboze, la scale-up che rivoluziona la produzione industriale

Roboze sta rivoluzionando la produzione di componenti grazie alla stampa 3D: accorciare la supply chain comporta vantaggi per le aziende e per l'ambiente.

Autore: Redazione ImpresaCity

Quella di Roboze è una storia di passione e di perseveranza, che nasce in un'officina meccanica pugliese e sfocia in una scale-up di respiro internazionale che, con la stampa 3D, intende rivoluzionare la gestione delle supply chain e sovvertire la gestione della produzione industriale.

A raccontarci questa escalation di successo è Alessio Lorusso, trentenne CEO di Roboze: "ho lavorato nell'autofficina meccanica di mio papà, dove ho imparato tutto della parte pratica. Tredici anni fa, navigando sul web, ho scoperto dell'esistenza delle prime stampanti 3D. Per capire davvero come funzionassero acquistai un kit da un'università inglese, e migliaia di pezzi sul web. Impiegai due anni a terminare la costruzione della stampante 3D".

In quel prodotto Lorusso vide un futuro in cui era possibile cambiare le sorti della produzione globale. Però c'erano anche tanti limiti: le stampanti 3D di allora erano poco precise. Andavano bene per creare prototipi, non per i componenti finali. In secondo luogo, permettevano di processare materiali molto poco performanti. 

L'ostacolo della precisione fu superato con un'intuizione che oggi è un brevetto di Roboze in tutto il mondo: Lorusso installò gli ingranaggi di precisione di una macchina utensile da officina all'interno della stampante 3D. Lavorando poi sull'ingegneria e la scienza dei materiali, Roboze ha sviluppato materiali particolarmente performanti, come i polimeri termoplastici e il PEEK rinforzato con fibra di carbonio per applicazioni di metal replacement.
Alessio Lorusso, CEO di Roboze

Roboze oggi

La tecnologia Roboze oggi aiuta migliaia di aziende, fra cui molti dei maggiori industry leader. L'elenco dei clienti include l'Esercito statunitense, Leonardo, General Electric, Airbus, scuderie di Formula 1, che con la stampa producono componenti finiti, precisi, quando e dove ne hanno bisogno. 

Con una stampante 3D Roboze si possono produrre parti per il settore dell'esplorazione spaziale e per la costruzione di satelliti, componenti per l'automotive e motorsport, per quello energetico supportando le grandi corporate dell'Oil&Gas nella transizione verso le energie rinnovabili, per l'aviazione civile e militare. 

Roboze è presente in 25 Paesi nel mondo, in due continenti. Intende creare un senso di cultura e di appartenenza da diffondere in tutte le sedi Roboze nel mondo e continuare a portare la genesi pugliese ovunque, contagiando i collaboratori stranieri con l'entusiasmo e il calore della Puglia.   

In epoca COVID la stampa 3D ha avuto un contributo importantissimo, tanto che nonostante due lockdown l'azienda crescerà a tripla cifra anche quest'anno. Merito del fatto che è divenuto essenziale produrre in loco i componenti, nel momento in cui si è interrotta la supply chain a livello globale a causa della crisi sanitaria.

L'emergenza COVID ha posto l'attenzione sulla tecnologia in maniera pressante e ha fatto comprendere a molte industrie che è tempo di invertire la rotta. Negli ultimi 50 anni c'è stato un fortissimo fenomeno di offshoring: i grandi colossi globali hanno portato la produzione in Paesi a basso costo di manodopera, come India, Cina, sudest asiatico. 
Da un lato si sono create economie di scala (produzioni di massa a costi irrisori), dall'altro ci sono stati fenomeni quali lo svuotamento del valore industriale di determinati territori. Basti pensare alla storia di Detroit, Torino, e in generale dei distretti produttivi occidentali. C'è stata una perdita di posti di lavoro, di valore tecnologico e di know-how, e strategicamente siamo diventati dipendenti da alcune economie globali.

Dalla produzione di massa a quella customizzata

Il COVID ha mostrato chiaramente la necessità di passare da una produzione di massa delocalizzata ad una produzione locale customizzata. Oltre che un fortissimo trend nel mercato consumer, è un fenomeno ancora più vero nel B2B. Inoltre, pone l'accento sulla strategicità del riportare a casa produzioni di cui si deve diventare di nuovo proprietari e di cui si deve avere il controllo

Il cambiamento è stato innescato dalla pandemia, ma è destinato a rimanere nel tempo perché c'è stata solo un'accelerazione delle dinamiche che erano già in atto da tempo. La pandemia ha segnato un punto di rottura, dimostrando la fragilità delle supply chain globali. La catena di fornitura si deve accorciare: si deve produrre, creare valore, e il valore deve rimanere nel territorio dove c'è poi il consumo del bene stesso. 

Anche l'ottica deve cambiare. Riportare in casa la produzione di milioni di pezzi attualmente realizzati in Cina sarebbe stupido, perché non siamo competitivi. Dobbiamo fare una cosa molto diversa: passare a una produzione customizzata just in time e on demand nel luogo di esigenza. 

Produrre solo quando ce n'è bisogno, dove c'è la domanda, e realizzare componenti customizzati per il cliente che fa l'ordinazione.  Così facendo si può garantire un servizio migliore al cliente, e un valore intrinseco maggiore allo stesso bene prodotto.

Un aiuto all'ambiente

La produzione in loco si traduce anche in un abbattimento dei costi di trasporto, che sono stati di 1,5 trilioni nel 2017, e in un abbattimento delle emissioni di CO2, pari al 7% al livello globale. Produrre dove c'è richiesta di un prodotto, invece che movimentare merci in giro per il mondo, si traduce quindi in un benefit per l'ambiente e per i costi di gestione dei magazzini. Oltre a creare nuovi posti di lavoro altamente specializzati.

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