Quando si incominciò a parlare di
Robotic Process Automation, le aziende ci misero un po' a familiarizzare con il suo approccio. Non sembrava una evoluzione così dirompente, dato che da anni
già si parlava di automazione dei workflow aziendali, nel campo del Business Process Management. Ma c'era di certo un elemento innovativo importante nella possibilità di estendere l'automazione
a qualsiasi processo o task "da ufficio".
In pochi anni il panorama è completamente cambiato e
parlare di RPA ora sembra riduttivo. Automatizzare task ripetitivi e semplici attraverso robot software - o più semplicemente, bot - sembra normale. Oggi si preferisce parlare di
hyperautomation. Per Gartner, che il termine lo ha creato, nella hyperautomation troviamo la RPA, le piattaforme
low-code, gli assistenti virtuali e alcune componenti di intelligenza artificiale. Una combinazione che, sempre secondo Gartner, oggi è "
un requisito per la sopravvivenza" delle imprese.
Proprio la
componente AI è di importanza
crescente nell'automazione software. Tanto che alcuni, più che di hyperautomation, parlano di "
intelligent automation". Un altro termine-ombrello in cui, ad esempio, Forrester mette insieme la RPA, l'automazione del Business Process Management e l'applicazione del machine learning ad operazioni come l'analisi del testo nei documenti o nelle chat, come del parlato.
Di certo, definizioni a parte, il business in gioco è rilevante. Forrester stima il giro d'affari globale della sola RPA a
2,9 miliardi di dollari per il 2021. Per Gartner, il mercato RPA del 2021 toccherà circa
1,9 miliardi di dollari. Gartner va ben oltre quando si parla di hyperautomation, valutando questo mercato a
532 miliardi quest'anno e
quasi 597 l'anno prossimo. Perché tutti questi investimenti? Per capirlo bisogna esaminare come è cresciuta, nelle imprese, l'esigenza di automazione fatta affiorare dalla RPA.
Al suo debutto, una decina d'anni fa, la RPA si è presentata con
un'ottica diversa dal "papà" BPM. Questo cercava di ottimizzare un processo nel suo insieme e l'automazione ne era solo una componente, la RPA puntava in modo specifico all'automazione di singoli task ripetitivi. Ed a farlo in modo "robotico", cioè attraverso un componente software che replicasse,
dopo un necessario apprendimento, le operazioni eseguite da un operatore umano.
Le aziende hanno subito percepito il primo vantaggio della RPA: per certi compiti ripetitivi un bot è meglio di un umano, perché opera più rapidamente e senza errori. Ma
sono andate quasi subito oltre. Hanno visto nella RPA anche la possibilità di
integrare fra loro applicazioni business diverse senza passare attraverso complessi progetti IT. Questo è stato possibile quando le piattaforme di RPA hanno acquisito la capacità di dialogare con le principali business application. A quel punto era pensabile automatizzare veri e propri workflow trasversali. Con semplici interfacce visuali o con sistemi di scripting immediati. Senza scomodare
API, sviluppatori specializzati e staff IT.
Ecco perché la RPA è rapidamente andata oltre i confini che essa stessa si era data. La promessa della automazione di task è diventata quella di mettere
nelle mani degli utenti non-IT gli strumenti per una integrazione applicativa e dei workflow che coinvolgono piattaforme diverse. Una promessa convincente nell'era del citizen developer. Nell'era cioè in cui certe possibilità proprie dei "tecnici" vengono man mano estese agli utenti business.
Hyperautomation, la RPA su larga scala
Introduciamo in questo scenario
l'ambizione che le imprese oggi hanno di essere estremamente elastiche e reattive, ed ecco il salto alla hyperautomation. Per quanto potenziate, le piattaforme di RPA hanno un raggio d'azione limitato. Se si vuole trasformare una intera azienda in una realtà automatizzata ed elastica,
serve anche altro.
Da qui
la necessità di una visione più ampia. In cui la RPA aumenta il suo raggio d'azione con un
apprendimento via machine learning, quindi non necessariamente supervisionato. E soprattutto è accompagnata da elementi di AI che
identificano i processi e i task di cui è "fatta" l'azienda, o parti di essa. Come anche da piattaforme di integrazione e sviluppo low/no-code che
aiutano a gestire processi complessi lungo il loro svolgimento. Servono poi anche strumenti per il
monitoraggio e
l'orchestrazione di un numero potenzialmente elevatissimo di bot. O meglio di "digital worker": oggi i compiti svolti dagli automi software diventano
tali e tanti che definirli bot è limitativo.
L'hyperautomation in effetti è quasi un approccio, più che una categoria di piattaforme: l'idea che sia possibile creare un modello digitale di una organizzazione
per poi intervenire al fine di ottimizzarlo. Non c'è quindi un vera e propria etichetta di hyperautomaion da applicare alle soluzioni software: come sempre per i concetti un po' estremi,
è la singola azienda che deve capire cosa è davvero utile per le sue esigenze e le sue specificità. E fare, quello sì, attenzione agli slogan. Che in questa fase non mancano.