Soluzioni cloud ad elevato valore aggiunto. Un'intervista ad Alessio Rocchi, Head of Cloud Development and Digital Transformation di NovaNext, System Integrator italiano di eccellenza. Una serie di casi concreti, errori da evitare, ambiti applicativi che stanno accendendo la ripartenza di molte imprese sul territorio.
Autore: Marco Maria Lorusso
I sondaggi relativi alle priorità IT indicano che per rinnovare la propria competitività sul mercato, dopo la pandemia, le aziende hanno intrapreso differenti percorsi di trasformazione digitale, o prevedono di farlo nel corso del 2022.
Nella maggioranza dei casi questa transizione si concretizza con architetture e soluzioni basate sul cloud, ma la migrazione verso questi ambienti IT è un processo complesso da pianificare ed effettuare, se non si dispone di elevate competenze tecnologiche e solide esperienze sul piano dell’organizzazione.Per fare il punto sui fattori che consentono alle soluzioni di cloud computing di generare valore aggiunto nei processi di trasformazione digitale, abbiamo incontrato
Alessio Rocchi, Head of Cloud Development and Digital Transformation di NovaNext, System Integrator che accompagna la trasformazione digitale delle aziende italiane progettando e realizzando soluzioni in ambito Data Center & Cloud, Cyber Security, Enterprise Networking, IoT e Digital Workplace.
NovaNext propone un’ampia gamma di soluzioni dei principali vendor tecnologici, con un approccio end-to-end perfezionato in oltre trent’anni di esperienza sul campo, in cui si è assistito a tutte le fasi di transizione dall’IT tradizionale a quello di moderna concezione, che vede nel cloud il suo principale punto di riferimento.
Quando si affronta il tema della trasformazione digitale si assiste ad uno scenario decisamente variegato, fatto di realtà che hanno già intrapreso percorsi di modernizzazione prima della pandemia ed altre che si sono ritrovate costrette ad avviare una nuova fase di digitalizzazione dando priorità ad iniziative più volte rinviate in precedenza.
Cosa ha cambiato la pandemia nella percezione che le aziende hanno nei confronti del digitale? Quale è stata la vostra esperienza con gli interlocutori con cui vi siete interfacciati soprattutto a partire dal 2021, quando ha preso il via il cosiddetto new normal?
«Non abbiamo notato sostanziali variazioni a livello di interlocutori. La principale differenza rispetto a prima è che le aziende hanno iniziato a destinare budget maggiori per la trasformazione digitale, consentendo quindi di realizzare nuovi progetti. Prima c’era molta curiosità, ma meno concretezza nell’effettuare gli investimenti».
NovaNext ha nel proprio portfolio clienti sia aziende private che pubbliche amministrazioni. Quali sono le differenze di approccio con queste tipologie di soggetti?
«I driver del cambiamento sono abbastanza differenti in questo caso. Le aziende private puntano all’innovazione per diventare più competitive, a partire dall’ottimizzazione, sotto vari aspetti, dei processi esistenti. La pubblica amministrazione, oltre a dover migliorare costantemente la propria organizzazione interna, ha la costante necessità di essere più rapida nel recepimento normativo, in modo da poter erogare in maniera corretta i servizi ai cittadini e alle aziende. In entrambi i casi, il cloud ci consente di trovare le soluzioni ideali per rendere più efficienti i processi da modernizzare, o implementare da zero, come accade in molti casi»
Nel caso della PA un’opportunità unica è finalmente offerta dal PNRR. Gli enti pubblici possono rendere disponibili le risorse per finanziare i progetti di ammodernamento della propria infrastruttura tecnologica. Le competenze necessarie e le soluzioni IT deriveranno concretamente dall’azione sul campo dei system integrator.
«Il PNRR è una grandissima opportunità, credo senza precedenti, che il Paese deve saper sfruttare nel migliore dei modi. Sono convinto che, grazie a questo piano di investimenti, si renderà più moderna ed efficiente l’infrastruttura fondamentale di cui l’Italia necessita, dai servizi di comunicazione a livello globale fino alla digitalizzazione dei processi che gli enti locali dovranno implementare per migliorare l’efficienza dei servizi e accelerare le capacità di recepimento normativo».
La trasformazione digitale è un tema tecnologico, ma soprattutto organizzativo. A dover essere cloud native non sono soltanto le applicazioni, ma anche il mindset delle persone che lavorano in azienda, che di fatto costituiscono i veri attori del cambiamento. Abbiamo chiesto ad Alessio Rocchi quali sono i passaggi da fare per parlare davvero di innovazione dei processi in un contesto aziendale.
Quali sono gli step necessari per implementare in modo pratico ed efficiente un percorso di cloud journey in un’azienda che intende davvero diventare più moderna e competitiva?
«Sulla base di un’analisi approfondita dell’assetto IT dell’azienda, si procede realizzando un progetto di migrazione orientato a soddisfare le esigenze dell’azienda, intervenendo sui processi senza creare interruzioni di continuità. Il cloud consente di lavorare con grande agilità a patto di conoscere molto bene le tecnologie che vengono utilizzate».
Dopo aver implementato le tecnologie, occorre che i dipendenti sappiano utilizzarle. Molte volte, i software sono più semplici rispetto a prima, ma occorre cambiare i flussi di lavoro e soprattutto la mentalità con cui si utilizzano le risorse IT. Qual è la risposta di NovaNext a questo problema, che costituisce ormai una costante?
«Il software cloud native tende ad automatizzare e rendere più semplici per l’utente finale le operazioni che è chiamato ad eseguire, per cui è vero che in molti casi il suo utilizzo è più semplice rispetto ai software di precedente generazione. Occorre individuare le tecnologie più appropriate e non si tratta di una valutazione banale, per le ragioni di cui abbiamo discusso in precedenza. La tecnologia da sola non è sufficiente per innovare i processi e renderli concretamente più efficienti. Occorre che le persone che animano l’azienda ne colgano il valore e sappiano trasferirlo a tutti gli stakeholder. In tutti i progetti prevediamo delle attività di formazione finalizzate sia a conoscere i nuovi strumenti che le logiche organizzative da adottare per sfruttarli al meglio. Una particolare attenzione è sempre dedicata al tema della sicurezza»
Il cloud journey varia dunque per ogni azienda, in funzione delle sue esigenze di business. Con Alessio Rocchi affrontiamo un punto chiave dell’attività di un system integrator: il primo approccio con un’azienda che intende affrontare un percorso di trasformazione digitale, che si traduce molto spesso nel modernizzare le proprie applicazioni grazie al cloud.
Quali aziende si rivolgono ad un system integrator e al tempo stesso che cosa dovrebbero attendersi, sin dalle prime fasi della collaborazione?
«Ci sono sia aziende che non hanno mai lavorato in cloud che aziende che hanno adottato in precedenza soluzioni in cloud senza risolvere i loro problemi e si rivolgono a noi per individuare proposte più soddisfacenti. Lo scenario che si presenta con un nuovo cliente è molto vario, dev’essere il system integrator a compiere un approfondito percorso di assessment per conoscere le capability di cui l’azienda già dispone e sviluppare un progetto coerente rispetto alla sua maturità tecnologica. Il system integrator deve avere l’esperienza, la sensibilità e le competenze tecnologiche per valutare al meglio tutti gli aspetti in gioco e aiutare l’azienda a prendere le decisioni migliori per il business».
Nel caso delle aziende che non hanno ancora avviato un processo di trasformazione mediato dal cloud come conviene procedere?
«È necessario capire cosa, in che modo e quando migrare in cloud. La fase di assessment è, a mio avviso, la più importante, perché se viene eseguita in maniera corretta, risulta più semplice realizzare un buon progetto e implementarlo grazie alle tecnologie più idonee. Se si affronta un progetto di trasformazione digitale conoscendo in maniera solo approssimativa i processi tecnologici e organizzativi su cui si va ad intervenire, si può andare incontro a un progetto di migrazione problematico. Molto spesso dobbiamo prendere atto che non è possibile migrare tutto in cloud. Possono esservi policy e aspetti normativi che impediscono ai dati di essere migrati in cloud. In quel caso dobbiamo procedere configurando un cloud ibrido, in quanto vi è l’esigenza pratica di mantenere parte dell’architettura on-premise»
Facevi accenno ad aziende reduci da esperienze poco positive con il cloud. In genere, cosa non è andato per il verso giusto e come è possibile rimettere in carreggiata le loro ambizioni di business?
«Spesso viene sottovalutata o mal eseguita la fase di assessment, per cui sono state adottate delle soluzioni improprie. Altre volte è stato strutturato male il progetto. In ogni caso, quando si interviene in una situazione problematica è importante fare una diagnosi a 360° ed individuare in primo luogo i processi più critici su cui intervenire. Per il resto la procedura che mi sentirei di suggerire rimane sempre orientata su una solida fase di assessment e su un progetto da attuare con la dovuta gradualità, nel rispetto della continuità operativa dell’azienda. Le soluzioni da adottare sono sempre funzionali alle specifiche esigenze di ogni azienda. Il system integrator deve fare tesoro della propria esperienza, mettendo a disposizione il proprio know-how e le soluzioni garantite dal portfolio tecnologico dalle partnership certificate che possiede».
Grazie ad un system integrator e un managed service provider le aziende possono inoltre soddisfare dei requisiti che altrimenti risulterebbero al di fuori della loro portata
«Sicuramente, questo vale soprattutto nel caso delle PMI, in particolare quando si ritrovano coinvolte in importanti collaborazioni con le grandi aziende. L’intera supply chain deve rispettare una serie di requisiti, in primo luogo per quanto riguarda la sicurezza, che comportano competenze che non è semplice avere in-house, in quanto decisamente onerose e legate a mansioni che non necessitano per forza di avere un team full time dedicato. Il system integrator può supportare le aziende a colmare questo gap in termini per loro vantaggiosi, con un adeguato controllo dei costi, in funzione delle risorse di cui effettivamente necessitano. Il cloud, ed in particolare i servizi gestiti, sono quindi un’ottima opportunità per le aziende che possono accedere a servizi e soluzioni che sarebbe altrimenti molto complesso implementare on-prem o in ogni caso contando su risorse IT interne».
Quali sono le principali tecnologie cloud che implementate nei vostri progetti?
«La nostra è un’offerta end-to-end, per cui siamo in grado di garantire servizi in cloud che vanno dall’intera infrastruttura IT, alla gestione della sicurezza informatica in tutti i suoi aspetti, oltre al cloud monitoring, indispensabile per avere visibilità di quanto accade soprattutto negli ambienti ibridi e multicloud. Lavoriamo da tempo con i principali hyperscaler come AWS, Azure e Google Cloud. Le partnership con aziende quali Cradlepoint, Dynatrace e Fortinet sono affiancate da un continuo scouting anche nel mondo open source al fine di offrire soluzioni sartoriali e complete.
Da un lato, l’assoluta segretezza del dato, con la necessità di evitare perdite accidentali e fughe di notizie che metterebbero seriamente a rischio proprietà intellettuali di inestimabile valore.
Dall’altro la necessità pratica dei dipendenti dell’azienda di accedere a questi dati per svolgere le loro operazioni. Potrebbe apparire un controsenso, ma è quanto accade in moltissime aziende, come ci spiega Alessio Rocchi, in relazione ad un recente caso studio sviluppato per un’azienda del settore aerospace.
«Il cliente manifestava, da un lato, il forte desiderio di implementare processi efficienti di comunicazione interna, ma dall’altro doveva assolutamente tutelare la proprietà di dati relativi a progetti industriali di grande valore. In circa un anno di lavoro siamo riusciti ad analizzare in maniera molto dettagliata i dati da trattare, per capire come e dove conservarli, oltre a come renderli accessibili sulla base delle rigide policy dettate dall’azienda. La soluzione nell’architettura è stata la configurazione di un cloud ibrido, per conservare parte dei dati on-prem e quelli, per così dire, meno sensibili in cloud. In ogni caso abbiamo adottato sistemi in grado di tracciare in maniera scrupoloso il data journey, in modo da accertarci che la condivisione delle informazioni risulti sempre conforme alle policy. In questi casi la complessità risiede nel trovare una soluzione sufficientemente agile, che consenta di lavorare senza eccessive restrizioni anche quando ci sono di mezzo dati di grande rilevanza strategica»
Le grandi aziende hanno un’operatività sviluppata su varie linee di business e decine, se non centinaia, di fornitori esterni. Garantire l’accesso in sicurezza ai dati all’intera supply chain diventa quindi sempre più complesso, sia per quanto riguarda i sistemi di gestione dei dati, che per quando concerne il controllo degli accessi e il monitoraggio di tutti gli endpoint coinvolti.
«Il briefing del cliente prevede di organizzare un sistema di gestione delle informazioni e dei documenti, ma soprattutto di prevedere l’accesso a queste risorse sia da endpoint aziendali che da parte dei fornitori esterni, verso cui non è possibile esercitare un controllo diretto. Parliamo di numeriche notevoli, da tutti i punti di vista e credo che la parte più sfidante di questo progetto non sia tecnologica, ma di natura organizzativa. Nel caso di un’azienda multinazionale, che vanta decine di filiali in tutto il mondo, con centinaia di fornitori, è indispensabile un’attenta fase di assessment, che consenta di individuare le modalità con cui avviene l’accesso ai dati, quali sono i dati maggiormente coinvolti, quali endpoint vengono utilizzati e molte altre variabili.
Occorre tanto ascolto e saper progettare dei flussi in grado di ottimizzare il più possibile la data governance all’interno dell’azienda. L’aspetto più importante, in ogni caso, risiede nella pragmaticità. I modelli teorici e il layout organizzativi devono tradursi quanto prima in operazioni concrete. Occorre progettare ed eseguire una sintesi efficace ed in questo caso l’abbiamo individuata cercando di semplificare e segmentare il più possibile tutto il sistema di gestione e accesso ai dati. Il cloud da questo punto di vista è una risorsa fondamentale, ma non mancano le complessità. Si pensi ad esempio alle normative vigenti in merito alla conservazione e al trattamento dei dati nei differenti paesi e alla questione stessa della sovranità dei dati».
Vi sono casi in cui il cloud non rappresenta la soluzione centrale al problema, ma costituisce un elemento di valore aggiunto fondamentale in funzione del business, come accaduto nel caso di un progetto di NovaNext per un’azienda di autotrasporti, come ci racconta Alessio Rocchi.
«Il briefing iniziale prevedeva il monitoraggio della flotta di veicoli di un’importante azienda di autotrasporti. Si tratta in sostanza di un progetto IoT in cui gli endpoint sono rappresentati dai mezzi in movimento. Grazie ai sistemi IoT possiamo ricavare dal veicolo dati in tempo reale relativi a centinaia di variabili, che vanno continuamente analizzati in funzione degli obiettivi aziendali. In questo caso il cloud ci ha consentito di implementare una sistema di smart analytics molto potente, ovviamente basato su tecniche di Machine Learning ed altri strumenti tipici della business analytics e della data visualization in tempo reale.
Grazie alle soluzioni di Big Data & Analytics, oggi disponibili in cloud, possiamo lavorare con i dati per realizzare soluzioni che fino a poco tempo fa era anche difficile immaginare. Possiamo affermare con certezza che senza il cloud un’analisi avanzata dei dati non sarebbe altrimenti possibile, per via delle grandi risorse computazionali e delle funzionalità tecnologiche richieste, che sarebbero difficilmente implementabili in un contesto on-premise, se non a costi al di fuori della portata della maggior parte delle aziende.
Ritengo pertanto che in questo progetto il cloud abbia costituito la leva necessaria a dare valore ai dati e garantire all’azienda di prendere decisioni informate e consapevoli in funzione dei propri obiettivi. In questo caso, non abbiamo avuto grandi difficoltà dal punto di vista organizzativo, l’aspetto più sfidante è stato di natura tecnologica, come avviene quasi sempre quando si implementano soluzioni IoT»