Intel lancia un nuovo fondo da un miliardo di dollari per favorire lo sviluppo di tutte le conoscenze che possono aiutare le sue foundry a produrre di più e meglio
Autore: Redazione ImpresaCity
L'arrivo di Pat Gelsinger come nuovo CEO ha dato una decisa accelerazione alle attività e alle ambizioni di Intel come produttore "generalista" di chip e processori. L'azienda dei processori per antonomasia ha cioè intrapreso con forza una strada fatta di sviluppi tecnologici e nuovi impianti - le citatissime foundry - non solo per i prodotti a marchio Intel ma anche per clienti terze parti. Una strada che si posa bene con uno scenario in cui la microelettronica sta diventando la base tecnologica di tutti i settori industriali.
La crisi dei chip è solo la dimostrazione più evidente di questa evoluzione. La domanda di processori e semiconduttori è cresciuta notevolmente e promette di farlo ancora nel prossimo futuro. I problemi di logistica e produttivi legati alla pandemia man mano si assorbiranno ma questo non basta. A Intel, ma non solo, serve produrre di più e meglio. Il che richiede anche lo sviluppo di nuove competenze e nuove tecnologie.
Per questo Intel ha avviato un nuovo fondo da un miliardo di dollari, destinato a supportare - con investimenti diretti - startup, scaleup e aziende tradizionali che sviluppano tecnologie utili alle foundry e in generale all'ecosistema dei semiconduttori. In questo ambito rientrano, spiega Intel, proprietà intellettuali (IP), strumenti software, architetture di chip innovative, tecnologie di packaging avanzate. Tutto quello che serve per "accelerare il time-to-market dei clienti delle foundry". Quindi altri vendor di chip ma, sempre più, anche i loro utilizzatori finali se dotati delle giuste competenze per progettare in proprio i loro processori.
È interessante notare che Intel intende essere "ecumenica" nella gestione del fondo, senza concentrarsi sulla sua architettura x86 storicamente di riferimento. Questo anche per essere in grado di soddisfare meglio i clienti che sono interessati a chip di altre piattaforme, come la popolarissima ARM. Intel cita appunto ARM come ambito di sviluppo, insieme ovviamente a x86 e alla meno scontata architettura RISC-V. In questo modo, tra l'altro, Intel può affermare che i suoi Intel Foudry Services (IFS) sono l'unico complesso di foundry a fornire IP per tutti i tre mondi.
Da bravo produttore più "generalista", Intel intende anche fare leva sulle potenzialità del modello open source. Da qui l'intenzione di avere un ruolo molto più attivo nell'ecosistema di quella che per l'azienda è l'architettura open source più importante, ossia RISC-V. Intel cita le stime Semico Research, secondo cui entro il 2025 i vari mercati di applicazione dovrebbero "consumare" oltre 60 miliardi di core RISC-V. Un volume di cui Intel vuole conquistare una fetta rilevante, facendo in modo che RISC-V funzioni sui chip prodotti dagli IFS meglio che su quelli di altri.
In questo senso non ci sono solo gli investimenti del nuovo fondo. Intel ha avviato anche collaborazioni con alcune aziende già attive nell'ecosistema RISC-V: Andes Technology, Esperanto Technologies, SiFive, Ventana Micro Systems. Sono tutte aziende che producono processori ad alte prestazioni, acceleratori, microcontroller RISC-V. L'obiettivo ora è ottimizzare le loro IP per i processi produttivi degli IFS, realizzando in questo modo "una gamma di core IP RISC-V certificati, con prestazioni ottimizzate per diversi segmenti di mercato". In un certo senso, soluzioni verticalizzate e chiavi in mano garantite da Intel.
L'idea di sviluppare competenze e IP legate a core specifici, anche particolarmente verticali, da combinare poi insieme non è tipica solo di Intel e caratterizza anzi tutta l'evoluzione recente del mondo dei semiconduttori, con l'affermazione del modello modulare dei SoC (System-on-Chip) prima e dei SoP (System-on-Package) poi. "Questo consente - spiega direttamente Intel - di suddividere semiconduttori complessi in blocchi modulari denominati chiplet. Ogni blocco è personalizzato per una funzione particolare, offrendo ai progettisti un'incredibile flessibilità per combinare e abbinare le migliori IP... La possibilità di riutilizzare IP riduce anche i cicli di sviluppo, i tempi e i costi per immettere un prodotto sul mercato".
Intel ha evidentemente intenzione di puntare decisamente su questo approccio, che considera adatto ad un mercato di riferimento come quello dei data center. Sono gli stessi cloud service provider a cercare, e se possibile anche a progettare, processori "ibridi" che uniscano insieme core generalisti e specializzati, ad esempio per l'esecuzione degli algoritmi di intelligenza artificiale. Collegare processori ed acceleratori nello stesso package (o chiplet) è una soluzione che secondo i suoi sostenitori - e Intel - porta prestazioni maggiori e consumi ridotti rispetto al normale utilizzo di schede esterne di accelerazione.
Per evitare che ciascuno faccia chiplet a modo suo, rendendo i prodotti incompatibili e soprattutto non in grado di dialogare fra loro nelle architetture modulari, serve secondo Intel creare un ecosistema di vendor che decida di operare in maniera sinergica. Per Intel questo si può creare intorno alla piattaforma Open Chiplet, che ha sviluppato proprio insieme ai principali cloud provider. Open Chiplet tra l'altro dovrebbe in futuro comprendere anche uno standard aperto per l'interconnessione die-to-die, uno standard cioè che definisca come i vari componenti di un chiplet, e i chiplet stessi, possono comunicare tra loro a velocità elevate.