Quanto la futura Italia digitale sarà frenata da bandi vecchio stile e da interessi meno che ideali per i fondi europei? Porsi la domanda non è inutile. Anzi, è quasi doveroso.
Autore: f.p.
A fine 2021 il Presidente del Consiglio, Mario Draghi, ha potuto archiviare positivamente la prima fase della messa in opera del PNRR. Quella che cinicamente potremmo definire come la fase "descrittiva" del Piano: messi in un bilancio virtuale i fondi europei che man mano arriveranno, ecco pronto un lungo elenco di cose da fare e di progetti - dettagliati, e questo è un punto di merito - da attuare.
Dare un segno di spunta a un elenco di iniziative in programma serve però sino a un certo punto. Era e sarà di nuovo necessario a sbloccare i fondi europei, ma i macro-obiettivi e i "milestone" si devono tradurre in scadenze e bandi. E non bandi generici: è essenziale che i bandi siano mirati, ben studiati ed efficaci. Il bello viene adesso e in fondo anche Mario Draghi l'aveva sottolineato: "Bisogna immaginare una quantità di istituzioni che cambiano il loro modo di agire. Questa è la vera sfida", aveva detto.
Una sfida non banale perché dietro ogni bando che traduce i fondi europei in lavori sul campo non ci può essere la supervisione diretta di Draghi o di qualche esperto-guru di nome. C'è l'attività di enti pubblici centrali e locali a cui di fatto passa la palla della digitalizzazione a tappe forzate di una nazione che sinora, nella lunga era digitalmente quasi glaciale del "ante PNRR", non ha brillato - è un eufemismo, attenzione - per intraprendenza, attenzione al risultato e visione di prospettiva.
Adesso siamo pronti per un salto di qualità? Troppo presto per dirlo, ma un po' di prudenza e sano scetticismo probabilmente aiuterà nel giudicare le nuove intenzioni digitali del Paese. I bandi già pubblicati sembrano prima di tutto voler essere a prova di critica per quanto riguarda temi caldi come inclusività e sostenibilità. Se fossimo negli USA - che i loro PNRR ce li hanno, ma di altra caratura - qualche fan della destra li potrebbe persino accusare di essere a tratti troppo "woke" (va di moda).
L'espressa volontà di non lasciare indietro nessuno, però, non deve diventare il rischio di prendere tutti sul carrozzone. Un rischio che qualche osservatore ha già sottolineato: il bello del PNRR è che deve lanciare iniziative mirate con benefici concreti, non portare sovvenzioni a pioggia. Un tanto a Ministero, un tanto a Regione, un tanto a dipartimento. E se il sistema delle "quote" (per i giovani, per le donne, per il Sud...) ha tutte le buone intenzioni possibili, qualche perplessità sulla sua efficacia di fondo purtroppo non può fare a meno di lasciarla.
In questo senso sarebbe importante che i cittadini e le imprese capissero bene quanto il Piano Nazionale non è l'ennesima iniziativa della politica, ma un qualcosa con cui ci giochiamo parecchio. Le imprese, in particolare, davvero molto. Se si raggiunge questa consapevolezza, allora sarà più naturale fare lobby (nel suo senso positivo) contro sprechi e bandi inutili. Ci è già passato sotto il naso il mezzo salvataggio di Italia.it, per dire.