Low-code o no-code? La differenza sta tutta in chi utilizzerà i due paradigmi. In fondo, però, le aziende dovrebbero concentrarsi sul low-code, che entro il 2024 sarà responsabile di oltre il 65% dello sviluppo delle applicazioni aziendali.
Autore: Valerio Mariani
Dal lancio della ricerca Gartner Quick Answer: What Is the Difference Between No-Code and Low-Code Development Tools? nel marzo 2021, i due temi, low-code e no-code, stanno conquistando ampi spazi di discussione tra i manager aziendali. Ma, per un’analisi della situazione è necessario fare subito un distinguo. La differenza tra low-code e no-code riguarda il target di utilizzo. Le piattaforme di sviluppo low-code sono rivolte agli sviluppatori, mentre quelle no-code sono pensate per utenti senza competenze di programmazione.
Come si evince facilmente dal nome, una piattaforma no-code non usa codice per lo sviluppo, “stressando” la tendenza ormai consolidata da anni di una programmazione sempre più semplice e basata su blocchi e moduli preconfezionati, fino a evitare completamente di mettere mano al codice.
L’obiettivo del no-code è di velocizzare il deployment di applicazioni e servizi grazie all’utilizzo di interfacce semplici e adatte a chiunque. I sostenitori di questo approccio puntano, oltre che su un libero e ampio accesso allo sviluppo, soprattutto sull’immedesimazione con l’utente. Chi sviluppa è, nello stesso momento, anche l’utilizzatore, e adatta in tempo reale l’interfaccia alla propria esperienza. Insomma, un WYSIWYG (What You See Is What You Get) applicato allo sviluppo in cui tra back end e front end non c’è praticamente differenza.
D’altra parte, il paradigma low-code si rivolge ai team di sviluppo, mantenendo una openess – libertà di aggiungere o togliere codice, per esempio - che il no-code non ha. Qui il codice può essere ancora trattato e modificato, ma senza dover impazzire a cercare errori su migliaia di linee. Per contro, bisogna dirlo, l’alta libertà di personalizzazione può influire sulla compatibilità con le versioni precedenti dell’applicativo. In ogni caso, va da sé che il low-code è più indicato per le applicazioni aziendali. Perché ogni azienda ha le sue necessità, le sue criticità nell’integrazione con il resto degli applicativi presenti ma, allo stesso tempo, non si può più permettere di aspettare un deployment di mesi.
“Il low-code può generare un ROI del 502%” sostiene un post pubblico di Giammaria Ripoli, Head of Digital Operations Italy di Minsait parte di Indra, multinazionale di consulenza e tecnologia e fornitore di soluzioni applicative proprietarie. L’affermazione è la sintesi di ciò che Minsait ha testato direttamente sui propri clienti, a cui accostiamo la previsione di Gartner: nel 2021 il business delle Low-Code Application Platform è cresciuto del 23%, raggiungendo un fatturato di 11,3 miliardi di dollari, che arriverà a 24 miliardi di dollari nei prossimi tre anni. Così, entro il 2024, le piattaforme low-code saranno responsabili di oltre il 65% dell'attività di sviluppo di applicazioni e tre quarti delle grandi imprese utilizzeranno almeno quattro strumenti di sviluppo low-code. E, sempre secondo l’esperienza di Minsait, grazie alle piattaforme low-code i tempi di progettazione e sviluppo delle soluzioni cloud si riducono del 48%.
“L’applicazione delle principali piattaforme low-code – prosegue Giammaria Ripoli - ha permesso a un'azienda leader nel settore dell'energia di centralizzare il proprio customer care per più di 9mila clienti in un tempo record, riducendo di oltre il 75% il tempo medio di gestione ed elaborazione delle richieste crescenti, con un saving complessivo di oltre 6.500 ore. Una grande banca, invece, ha automatizzato oltre 50 processi core di prevenzione del riciclaggio utilizzato da oltre 3.000 utenti di back office, ottenendo un aumento del 70% nell'identificazione e risoluzione dei reclami”.
Le piattaforme di sviluppo low-code prevedono la creazione di un progetto il cui workflow è costituito dall’inserimento di blocchi di codice preimpostati. Esattamente come la vecchia, cara, programmazione a oggetti. È evidente che, in questo modo, ci si concentri di più sull’architettura dell’applicazione e si lasci da parte l’intervento sulle righe di codice, comunque possibile, risparmiando tempo e fatica. Il votarsi di un’azienda a un approccio low-code la accompagna verso il traguardo di Composable Enterprise: “un’azienda che si adatta rapidamente ai cambiamenti del mercato e produce i risultati di business attraverso un paradigma dinamico di combinazione o “composizione” di funzionalità di business denominate Packaged Business Capabilities o PBC, componenti software che rappresentano una ben definita funzionalità riconoscibile sia da un utente business che da uno tecnico”.
Definizione, questa, introdotta ancora una volta da Gartner, totalmente riconosciuta da Entando. L’azienda sarda, che ha potuto contare sugli investimenti di United Ventures e di Vertis SGR, propone una Application Composition Platform che si basa sull’approccio low-code. “Le Application Composition Platforms (ACP) – affermano i fondatori di Entando - sono un insieme di strumenti di sviluppo che supportano, semplificano e accelerano l’adozione del modello composable all’interno di una organizzazione. Queste piattaforme sono progettate per potenziare la collaborazione tra l’IT e i business analyst nel creare, comporre e ricomporre funzionalità, processi e user experience. La cooperazione del business e dell’IT, consente di ridisegnare i processi in building block o componenti modulari standardizzati, intercambiabili e riusabili, strutturati attorno a specifiche business capability. Le ACP combinano funzionalità di professional code e di low-code per ideare, integrare, assemblare, orchestrare, riusare, che consentono di eseguire funzionalità di business su ambienti cloud, con estrema rapidità e flessibilità”.
Le piattaforme di low-code sono esattamente questo. La nota di Entando, inoltre, ci chiarisce i vantaggi delle ACP: “l’adozione di questo modello consente di costruire applicazioni cloud-native resilienti, flessibili e agili, con un approccio business centric che, sfruttando il concetto di modularizzazione in componenti dell’applicazione, abilitano l’impresa a rispondere rapidamente ai cambiamenti e ad accelerare il proprio processo di innovazione”.
È, inoltre, evidente che l’approccio low-code è esattamente ciò che si utilizza per lo sviluppo delle applicazioni cloud-native. A questo punto, c’è da chiedersi: che piattaforma scegliere? Posto che i leader definiti tali dal quadrante magico di Gartner sono Appian, Mendix, Microsoft, OutSystems e Salesforce, mentre Oracle (con APEX) si posiziona tra i challenger, la scelta dell’azienda non dovrebbe riguardare il nome ma, semplicemente, se acquisire direttamente una piattaforma ACP o meno. Tenendo conto che praticamente tutte sono veicolate in modalità SaaS.
La scelta dipende dalle risorse interne disponibili in azienda e dalle loro competenze di sviluppo, seppur minime ma richieste. Ed è facile che, dopo un rapido censimento, ci si indirizzi verso un partner di sviluppo certificato che gestirà in toto la piattaforma per conto dell’azienda cliente.