Gli strumenti applicativi ci sono, le aziende di consulenza specializzate anche, ciò che manca ancora è uno standard unico di rating ESG che fornisca una valutazione oggettiva e indipendente, ma non chiedetelo alle Istituzioni.
Autore: Valerio Mariani
Il report No Planet B, How Can Business And Technology Help Save The World realizzato da Oracle in collaborazione con Pamela Rucker, CIO Advisor e docente di Harvard Professional Development, è l’ultimo arrivato tra le analisi sulla sostenibilità aziendale.
Tra le evidenze del rapporto, da segnalare che la quasi totalità dei manager (91%) sta riscontrando grandi ostacoli nell’attuazione delle iniziative ESG (Environmental, Social & Governance). Inoltre, risulta difficile indirizzare partner e terze parti (35%) verso una strategia sostenibile. E si segnala anche la mancanza di dati (33%), i problemi a gestire la reportistica manuale e il time spending (32%). Per questo, il 93% dei manager aziendali farebbe affidamento su un bot per prendere decisioni in materia di sostenibilità e responsabilità sociale. Perché i bot prenderebbero decisioni razionali e imparziali e sarebbero in grado di prevedere i risultati futuri.
Insomma, le aziende vorrebbero, ma non riescono. È indubbio che la sensibilità verso i temi ESG è decisamente cresciuta ed è giunto il momento di dimostrare al mercato di essere capaci di smarcarsi dal pericolo greenwashing. Ovvero, passare ai fatti, oggettivi e misurabili, ed evitare un approccio “fumoso” non supportato da iniziative concrete e finalizzato solo a cavalcare l’onda per guadagnare in reputazione.
Il tempo del greenwashing è scaduto, anche perché la sostenibilità aziendale è diventata un valore economico capace di incidere direttamente sul valore azionario e di mercato di un’azienda. Questo perché la finanza mondiale ha costruito un nuovo mercato di investimenti in aziende ESG, decretando di fatto una discriminante tra chi è sostenibile e chi non lo è (ancora).
È lecito chiedersi, dunque: come si fa a sviluppare un programma aziendale ESG che sia riconosciuto dal mercato? Intanto, e anche l’analisi di Oracle lo conferma, la tecnologia gioca un ruolo fondamentale nella progettazione, nello sviluppo, nella gestione e nella rappresentazione di un programma ESG.
Diverse software house mettono a disposizione una piattaforma dedicata. Per fare un solo esempio, SAP e Boston Consulting Group hanno unito le loro forze – le piattaforme CO2 AI by BCG e SAP Product Footprint Management – realizzando un software end-to-end che usa l’Intelligenza Artificiale per misurare le emissioni prodotte delle aziende e quantificare quelle prodotte indirettamente lungo l’intera filiera.
L’obiettivo della soluzione è di accelerare il percorso verso la riduzione delle emissioni nette di circa 40%, dando la possibilità ai clienti di integrare nelle operazioni del proprio core business e nei processi decisionali strategici, una procedura di misurazione “intelligente” e all’avanguardia per il tracciamento delle emissioni di CO2.
Altri tool disponibili, come BCG CIRCelligence e SAP Responsible Design and Production aiutano a ridurre gli scarti lungo tutte le catene di fornitura, per rendere più circolari i portafogli aziendali.
Affinché la transizione dei processi aziendali rispetti tutti i requisiti normativi e i valori del core business, poi, le attività sono gestibili dalla soluzione Holistic Steering and Reporting supportata dai framework sui temi ESG e basata su SAP Sustainability Control Tower e BCG Compliance Target Operating Model.
I tool applicativi esistono, e spesso sono finalizzati a un unico obiettivo, per esempio il consumo energetico. Sempre più spesso, poi, si utilizzano bot e algoritmi di intelligenza artificiale. Preso atto che la tecnologia più aiutare operativamente sia a realizzare un programma ESG che a monitorane e presentarne i risultati, la questione si riduce al dedicare risorse e tempo al progetto, col presupposto di una certa creatività.
Per questo ci sono le agenzie specializzate e le società di consulenza che, in questo periodo, proliferano. Affidarsi a loro è utile per individuare i campi di azione sostenibile, per creare il vestito al progetto e per trasformarlo in una effettiva leva di promozione.
Fin qui tutto bene, se non ci fosse il rating ESG. Ovvero un modello di calcolo oggettivo di un valore di sostenibilità che sia rilevante a livello finanziario. Qui la confusione è ancora molto alta. Le Istituzioni mondiali, come è prevedibile, non si spingono oltre la definizione dei criteri ESG, già abbondantemente diffusi e, a oggi, non esiste uno standard unico che misuri i programmi di sostenibilità.
Ricordiamo rapidamente la sfera di intervento di un programma ESG. Alla lettera E corrispondono i progetti che impattano sull’ambiente, alla S quelli che coinvolgono il territorio, gli stakeholder intesi come le persone con cui l’azienda è in relazione e, infine, la G di Governance riguarda una gestione aziendale etica (diversità, inclusione, trasparenza, correttezza ecc.).
Questi principi di base derivano da due iniziative a livello istituzionale: l’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite e gli Accordi di Parigi (2015).
L’Agenda è stata sottoscritta dai Governi di 193 Paesi Membri dell’ONU e si sintetizza nei 17 Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile, che compongono un ventaglio vastissimo di azioni e interventi, a loro volta indirizzati su 169 target. Gli Accordi di Parigi, invece, come il successivo pacchetto di misure Fit for 55 e il G20 Energia e Clima di Napoli (2021), puntano esclusivamente alla riduzione dell’incremento del riscaldamento globale (sotto 1,5° C entro il 2030).
Insomma, si può dire che le indicazioni istituzionali si concentrano soprattutto sulla riduzione delle emissioni e la Carbon Neutrality, ovvero un bilanciamento tra i valori di emissioni nocive e ciò che fa un’azienda per compensarle.
È a proposito del rating ESG o rating di sostenibilità che c’è ancora una certa confusione. Non un fattore da poco, visto che con il rating si costruiscono le classifiche delle aziende sostenibili, si realizzano fondi di investimento, si indirizzano gli investitori e, dunque, si influisce sul valore economico di una azienda.
Valore economico che conta nel caso di acquisizioni, di investimenti societari e, non ultimo, in termini di reputazione aziendale. Il rating ESG non sostituisce il rating tradizionale per un’azienda ma vuole essere un complemento, sempre più rilevante però. Lo scopo del calcolatore è di allargare il range di informazioni disponibili che riguardano un’azienda ai criteri di sostenibilità.
A marzo 2018 la Commissione Europea ha iniziato una riflessione con l’obiettivo di favorire uno standard. È il Piano d’Azione sulla Finanza Sostenibile, che si sviluppa in dieci azioni. Anche se il Piano si indirizza espressamente agli interlocutori finanziari, va da sé che gli obiettivi dedicati impattino direttamente sulle aziende.
Ma la soggettività del rating e dello score ESG è un problema che spesso rimane. In primo luogo, perché le grandezze da misurare sono diverse e di natura qualitativa e quantitativa. Inoltre, nella gran parte dei casi le aziende non hanno chiaro chi autorizzi chi altro a emettere valutazioni, come nel caso del rating tradizionale (l’ESMA per l’Europa).
Dunque, che fare? Di agenzie di rating, e non, che si sono buttate sul florido business ce ne sono migliaia. In questa fase, per il suo calcolo, è utile affidarsi a un operatore finanziario importante e riconosciuto, un po’ come si fa nel caso delle certificazioni.
Un’azienda che si rende conto di dover intraprendere un percorso ESG, allora, deve necessariamente affidarsi alle società di consulenza specializzate. Con il loro aiuto, nei casi di aziende enterprise, è indispensabile prima di tutto scegliere una piattaforma applicativa per gestire le attività. Le aziende medio-piccole, invece, potrebbero ancora farne a meno.
Inoltre, c’è da tener conto, e lo sostengono tutti gli analisti, che la tecnologia è il migliore alleato di un’azienda che vuole diventare sostenibile. Dunque, tutti i progetti di digital transformation dovrebbero essere orientati a tutte le tre (E-S-G) componenti della sostenibilità, oltreché favorirla.
Poi ci vuole creatività nell’ideazione dei progetti. E in questo ci vengono incontro le agenzie specializzate. Infine, il progetto deve essere monitorato e portato avanti con attenzione. E, anche in questo un consulente esterno è fondamentale. Infine, c’è la parte della “vestizione” del progetto. Ovvero tutto ciò che riguarda la sua promozione, fino alla costruzione del rapporto CSR (Corporate Social Responsability), il documento annuale in cui si evidenzia, con dati e risultati oggettivi, tutto ciò che è stato realizzato.