I mercati digitali, come quelli tradizionali, oggi hanno bisogno di concorrenza, apertura e sicurezza. Per questo servono normative condivise e collaborazione continua.
Autore: f.p.
"Il modo in cui le singole nazioni affrontano la digitalizzazione a livello locale, nazionale e internazionale ha una influenza significativa sull'innovazione": è con questa frase che i Ministri del digitale delle nazioni del G7 hanno riassunto, pochi giorni fa, il senso dell'impegno a più livelli che proprio il G7 si è dato nell'indirizzare alcuni aspetti della Digital Transformation nei suoi Paesi membri.
Molti dei concetti espressi dai Ministri nel loro documento finale - la G7 Digital Ministerial Declaration - sono già noti perché riprendono parte dell'attività che sul digitale sta portando avanti, da vari anni, l'Unione Europea. Ovviamente assumono però un respiro che va oltre la UE, coinvolgendo anche nazioni meno "dirigiste" (come gli USA o il Regno Unito) in quanto a digitale.
La G7 Digital Ministerial Declaration comprende diverse indicazioni di massima su come le nazioni del G7 intendono affrontare, in maniera coordinata, alcune questioni già sul tavolo. Questioni legate in particolare ai nuovi mercati digitali e al ruolo che le tecnologie della digitalizzazione hanno nello sviluppo dei mercati anche tradizionali. In parte, e in astratto, rimandando alla recente Declaration for the Future of the Internet. Ma anche definendo alcune iniziative specifiche, più concrete.
Un tema trasversale a molti punti del documento è quello dell'apertura - in senso lato - nello sviluppo e nell'adozione delle nuove tecnologie. L'idea di fondo, molto in stile UE, è quella di una digitalizzazione "open" e inclusiva che non venga limitata in modo forzato da aziende o da Governi. Il riferimento non tanto implicito è ad esempio alla crescente frammentazione di Internet e al lavoro di lobbying che alcune nazioni stanno portando avanti nel campo della definizione degli standard tecnici. L'attuale presidenza tedesca del G7 promette di sviluppare a breve termine alcune iniziative di cooperazione proprio su questo punto.
Apertura significa anche libero accesso ai dati, seppure sempre in sicurezza. Il principio è quello che la UE sta perseguendo da tempo con i "data space" per settori di mercato. E che nell'ottica del G7 rimanda, in parte, ai principi del Data Free Flows With Trust delineati nel 2019 al G20 di Osaka. I Ministri del digitale ora ribadiscono l'opposizione di tutti al "protezionismo digitale": i dati vanno messi a fattor comune, sempre tenendo conto dei limiti imposti da "sicurezza, privacy, protezione dei dati e dei diritti di proprietà intellettuale".
Il flusso libero dei dati è una componente importante per lo sviluppo di nuovi mercati digitali. Che però serve a poco far nascere se non vengono mantenuti competitivi. Cosa che secondo la UE richiede policy specifiche, perché il mercato da solo non riesce a garantire la sua concorrenzialità. Una visione che mette l'Unione in frequente contrasto con le "piattaforme" statunitensi, che la considerano un freno all'innovazione.
Il G7 non la pensa proprio come l'Europa comunitaria, ma ammette in sostanza che lasciare la concorrenza nel digitale tutta in mano alle logiche del mercato non è esattamente una buona idea. L'intenzione espressa dai Ministri del digitale infatti è arrivare a definire chiaramente lo scenario normativo che le nazioni del G7 hanno in quanto a concorrenza nei mercati digitali. Per poi coinvolgere, entro fine anno, le varie nazioni su nuovi approcci alla concorrenza e sulla loro possibilità di applicazione.
Certo, dalla analisi delle normative allo sviluppo di nuove inizative ad hoc il passo non sarà né breve né banale. Non solo per gli interessi in gioco, anche per gli inevitabili tempi tecnici. Ne è un ottimo esempio l'unico punto "tecnologico" toccato in modo specifico dai Ministri nel loro documento: la necessità di adottare rapidanmente norme nazionali e internazionali per l'utilizzo degli Electronic Transferable Record.
Il tema qui è la digitalizzazione delle transazioni B2B: gli ETF (o titoli di credito elettronici) sono l'equivalente digitale di titoli che spaziano dagli assegni alle polizze di carico. Poterli sempre gestire in formato solo digitale e vederli riconosciuti in tutto il mondo porterebbe numerosi benefici al commercio mondiale. Uno standard per farlo - la Model Law on Electronic Transferable Records (MLETR) della Uncitral (United Nations Commission On International Trade Law) - esiste già dal 2017, ma solo a metà dello scorso anno il G7 ha stabilito concretamente di doverlo adottare.
Non poteva poi mancare un accenno al rapporto tra ambiente e digitalizzazione. Un rapporto duplice, secondo i Ministri del G7. Perché da un lato le tecnologie collegate al digitale possono evidentemente aiutare a raggiungere la neutraltà climatica. Ma dall'altro proprio queste tecnologie hanno un impatto ambientale tutt'altro che trascurabile.
Per questo, nella seconda metà del 2022 è previsto lo sviluppo di un "toolkit" che aiuti le aziende del settore privato, e in particolare le PMI, a sfruttare le tecnologie del digitale per ridurre il proprio impatto ambientale. Parallelamente, l'obiettivo è anche sviluppare e condividere, a livello globale, strumenti - ad esempio standard tecnici o approcci di "sustainability by design" - per migliorare l'efficienza energetica dei data center. Come anche la circolarità nella produzione e nell'uso di hardware e software.
Difficile oggi parlare di digitalizzazione senza toccare il tema della cyber security. I Ministri riuniti in Germania vi hanno dedicato un documento ad hoc, partendo dalla inevitabile attualità del confronto russo-ucraino. Che è un confronto anche nelle reti digitali e che, spiega il documento, "ha messo in evidenza quanto le attività critiche delle società connesse si basino su infrastrutture digitali, in particolare quelle di telecomunicazioni".
Da qui "l'importanza di proteggere le infrastrutture digitali delle società libere contro le interferenze ostili e l'influenza di regimi autoritari". Per chi si occupa di cyber security è chiaro il richiamo all'attività delle APT, attività peraltro nota da tempo. E per la quale un documento ministeriale non può aggiungere granché di nuovo. Infatti i Ministri del digitale restano abbastanza sulle generali, anche se le intenzioni che esprimono sono corrette. È necessario "supportare la resilienza delle infrastrutture di informazione, comunicazione, telecomunicazioni" perché anche quanto è accaduto di recente "rafforza l'importanza dell'accesso a una Internet globale".
Questa auspicata resilienza si ottiene anche e soprattutto "coinvolgendo le aziende e le organizzazioni dei vari mercati, migliorando e condividendo la conoscenza delle minacce cyber, ampliando la nostra risposta coordinata". Il tutto "in linea con gli attuali framework per la sicurezza cyber e nazionale e con le iniziative di cooperazione già in atto".
Sì, ma in pratica? In concreto la richiesta dei Ministri è quella di una "rapida implementazione" delle indicazioni già date alla fine del 2019 dall'OECD con la sua Recommendation of the Council on Digital Security of Critical Activities. I cui principi, peraltro, troviamo già nei toolkit UE sulla sicurezza delle infrastrutture critiche di telecomunicazioni. La teoria, insomma, è ben nota.