Da molti anni Retelit è al centro delle iniziative di evoluzione tecnologica delle aziende e della PA italiane. Per questo ha una visione chiara di quanto il PNRR possa fare ora la differenza come impulso alla digitalizzazione nazionale. E non è solo questione di fondi.
Autore: f.p.
Per tutti coloro che in qualche modo sono toccati dalle opportunità - e anche dalle sfide, non dimentichiamolo - del PNRR, il timore sotto sotto è sempre lo stesso: che anche in questo caso l’Italia perda l’occasione di colmare i gap che, nel digitale, la separano dalle principali nazioni europee. Molti però guardano al Piano Nazionale con quello che viene spontaneo definire un ragionevole ottimismo: il rischio di fare meno del previsto c’è sempre, ma le opportunità stavolta sono davvero importanti e l’approccio dell’Italia pare quello giusto.
Tra gli ottimisti c’è anche Retelit, che da vent’anni vive la digitalizzazione italiana direttamente dall’interno delle sue molte sfaccettature e ha quindi una visione decisamente approfondita della questione. “In effetti è vero – spiega Michela Capponi, Government Innovation Director di Retelit Group – che la digitalizzazione in Italia ha avuto diverse evoluzioni ma per molto tempo non è riuscita a fare un vero salto di qualità. Ma dal 2012 in poi abbiamo notato una concreta accelerazione del mercato. Poi è arrivata la pandemia, che ha spinto tutti a una evoluzione digitale estremamente rapida. E questo ha interessato tanto le aziende quanto la Pubblica Amministrazione”.
Retelit può dare una opinione del PNRR bene “informata sui fatti”, per così dire, perché le prime iniziative collegate alla implementazione del Piano Nazionale riguardano soprattutto la componente infrastrutturale, intesa come infrastrutture di rete vere e proprie e come infrastrutture di base (leggi migrazione al cloud) per la digitalizzazione contemporanea. “Queste prima fasi del PNRR intercettano bene tutto il mondo Retelit: infrastrutture e soluzioni”, conferma Capponi: “In generale come azienda eravamo già pronti per affrontare questi ambiti insieme ai clienti, ora il Piano ci offre un aiuto in più, specialmente perché detta le principali linee guida di sviluppo. E spesso, specie nella PA, si sentiva la mancanza proprio di linee guida che fossero semplici e chiare”.
Il ruolo del PNRR nella digitalizzazione della PA locale non va sottovalutato, ricorda Retelit. Da un lato per gli effetti che porta a tutti noi: “intervenire prima di tutto a favore degli enti locali significa essere più vicini alle esigenze concrete dei cittadini”, spiega Capponi. Dall’altro lato, perché introduce rispetto al passato meccanismi più funzionali per i finanziamenti: “oggi i Comuni hanno una strada più chiara nell’accesso ai fondi – sottolinea Capponi – e l’approccio seguito, basato su Avvisi consequenziali, che partono dall’infrastruttura di base per arrivare prima al cloud e poi alle tematiche di fruibilità dei servizi, è corretto: si parte dalle necessità concrete del territorio e non da quello che astrattamente serve alla PA”.
Certo, poi dalla teoria dei progetti e delle iniziative che si presentano per ottenere fondi bisogna passare alla pratica della loro implementazione. Ma qui scendono appunto in campo fornitori qualificati (anche letteralmente, nel senso di certificati) come Retelit. “Possiamo certamente aiutare i Comuni – spiega Capponi - a portare avanti i progetti legati agli Avvisi che sono stati pubblicati sinora. Tra l’altro Retelit dispone di un cloud certificato Agid già da due anni, ci siamo preparati con una certa lungimiranza per il passaggio al cloud della PA. Siamo poi da tempo integrati con l’app Io, che man mano sta assumendo il ruolo di punto unico attraverso cui il cittadino può comunicare con molte realtà, Comuni compresi”.
Per aiutare le PA in un nuovo percorso di digitalizzazione servono certamente le competenze tecniche, ma queste da sole non bastano se non vengono “confezionate” con un approccio progettuale adatto alle esigenze e alle caratteristiche di clienti che sono ben diversi dalle aziende private. “Ciò che ci ha fatto conquistare tanti progetti – spiega Capponi - è la nostra trasparenza nei confronti delle PA, che arrivano a fidarsi di noi e a non vederci più come un normale fornitore. Questo vale a maggior ragione con il PNRR, che per sua natura prevede un particolare controllo sul raggiungimento degli obiettivi che si sono dichiarati. Ciò impone di avere la capacità di concretizzare rapidamente i progetti per cui si chiedono i finanziamenti”.
Il fornitore ideale del tipico Comune italiano messo di fronte alla nuova logica del Piano Nazionale non è quindi solo capace di fornire competenze tecniche e consulenziali, deve anche saper allinearle precisamente con i singoli progetti. “Bisogna saper parlare la lingua dei Comuni – mette in evidenza Capponi - calarsi in quello che fanno e capire quello che serve davvero loro. Poi è ovvio che entrano in gioco la parte tecnica, le piattaforme cloud, le componenti di operations. Ma prima di tutto ogni Comune deve sentirsi supportato sin dall’inizio del suo percorso, tanto che noi siamo pronti ad aiutarlo anche nella prima presentazione dei progetti per gli Avvisi. Come possiamo anche fare da interfaccia per le associazioni che raggruppano i Comuni più piccoli”.
E ogni Comune, progettualmente, fa storia a sé. “Dobbiamo sempre ricordare che è il Comune a guidare un suo progetto, non il fornitore. Questo è evidente per i Comuni medio-grandi, che sono più preparati degli altri e hanno figure dedicate alla digitalizzazione. Ma deve valere in generale, anche per i Comuni piccoli che hanno più bisogno di essere supportati. Noi affianchiamo tutti con una capacità consulenziale, di supporto, e con le competenze mirate specifiche delle aziende del gruppo Retelit”, sottolinea Capponi.
Le competenze Retelit riguardano tutti i possibili aspetti di un processo di digitalizzazione e possono essere messe in campo in vario grado, a seconda dei casi. “Di solito – racconta Capponi – nei progetti che riguardano strettamente il passaggio al cloud l’esigenza principale è aiutare il Comune a mappare cosa può passare in cloud e cosa no, e che strategia di migrazione usare. Il PNRR giustamente spinge per il SaaS più che per il lift-and-shift, ma è il Comune a stabilire come muoversi, anche in funzione delle applicazioni e dei fornitori che già usa”.
La direttrice di sviluppo parallela, ossia quella della ideazione e implementazione dei servizi al cittadino, ha dinamiche diverse: “Qui c’è una maggiore necessità di un nostro ruolo consulenziale – racconta Capponi – perché i temi delle interfacce e dell’usabilità dei servizi digitali possono essere relativamente nuovi per la PA. A volte si va oltre il problema delle competenze tecniche interne che vanno completate: molti Comuni nemmeno hanno una figura che si occupi di queste tematiche”.
C’è insomma, e prevedibilmente, parecchio da fare. Ma le prospettive secondo Michela Capponi sono molto buone. “La pandemia ha dato ai processi di Trasformazione Digitale una accelerazione che, sebbene in molti casi sia stata anche forzata, oggi conta molto. Il PNRR certo è importante perché porta risorse economiche e linee guida, ma quello che davvero conta è che è cambiato l’approccio di chi usa le tecnologie nella PA, cosa che non era successa in tantissimi anni. È chi opera direttamente ‘sul campo’ che ha compreso quanto la digitalizzazione aiuti a lavorare meglio”.
La tanto attesa “vera” digitalizzazione della PA italiana stavolta, quindi, può concretizzarsi. “Credo proprio di sì”, conclude Capponi: “Oggi sul tavolo non abbiamo solo generiche necessità ma la consapevolezza di quello che serve davvero e le risorse per metterlo in atto… Io dico che ce la facciamo. Anzi, per molti versi ce l’abbiamo già fatta”.