Essere "solidi" ma anche flessibili è il nuovo mantra delle imprese, che però si trovano davanti diverse esigenze e tecnologie da combinare insieme
Autore: Redazione ImpresaCity
Al di là di tutte le considerazioni che si possono fare su quanto il lavoro ibrido sarà supportato (o sopportato) a lungo termine dalle imprese, è certo che l'hybrid working ha già avuto il suo importante impatto su come le imprese giudicano la propria infrastruttura IT e la sua evoluzione. In questo senso, A10 Networks ha commissionato uno studio che ha coinvolto 2.425 professionisti senior di applicazioni e reti in dieci aree geografiche. Una (Europa meridionale) è particolarmente interessante per noi perché era costituita da Italia e Francia.
Il tema generico della "resilienza digitale" sembra essere quello più critico per le 250 organizzazioni aziendali intervistate in Italia e Francia. A10 lo ha scomposto in undici aspetti specifici e per ciascuno di essi il campione ha indicato in larga maggioranza di esserne in qualche modo preoccupato. In particolare, le aziende italiane e francesi sembrano consce del fatto che l'hybrid working porta diversi interrogativi in quanto a cyber security. E che uno di loro principali problemi sarà bilanciare le nuove esigenze di sicurezza con la necessità di non "ingessare" la flessibilità dei propri processi.
Nel proprio futuro le aziende italiane e francesi vedono un mix equilibrato di ambienti operativi: on-premise, cloud privato, cloud pubblico, SaaS. Con l'on-premise un po' dietro: ha il 21% di citazioni contro il 26% degli altri tre ambienti. Certamente questo mix porta un aumento sensibile del traffico di rete (stimato nel 53% negli ultimi 12 mesi, la media globale è del 47%) da monitorare e mettere in sicurezza.
Le aziende del campione, in questo scenario, non sembrano avere molta fiducia nelle funzioni di cyber security offerte dai loro fornitori di servizi cloud. Il 57% indica che la sicurezza standard offerta dai provider è sufficiente, ma è rilevante la quota (40%) secondo cui i provider non riescono a soddisfare i loro SLA.
In Italia e Francia la preoccupazione principale espressa nell'indagine A10 è che un attacco cyber porti a una data breach e quindi alla perdita di dati o asset importanti. Non sorprende quindi che, secondo il campione, i progetti IT già realizzati di recente e giudicati più di successo riguardino proprio la cyber security (23%) e la "resilienza digitale" (18%), se non addirittura il buon vecchio on-premise (17%).
Gli approcci Zero Trust possono aiutare a contenere queste preoccupazioni generalizzate per la cyber security? Potrebbero. Di sicuro l'indagine A10 mostra un evidente interesse delle imprese. Il 32% delle organizzazioni aziendali del Sud Europa ha dichiarato di aver già adottato un modello Zero Trust negli ultimi 12 mesi. Il 13% intende adottarlo nei prossimi 12.
Guardando al futuro, secondo A10, è probabile che l'adozione di iniziative di cyber security aumenti, compresi i modelli Zero Trust. Ci si aspetta un'implementazione più diffusa, man mano che le organizzazioni aziendali comprenderanno i vantaggi che ne derivano. D'altronde, è improbabile che la pressione sulle imprese si allenti nei prossimi anni.