CHIPS for America: gli USA fissano i paletti per le imprese

Le aziende che useranno i fondi del CHIPS Act non potranno avviare o potenziare loro attività in Cina per dieci anni. E nemmeno trasferire nuove tecnologie all'estero.

Autore: f.p.

Ci sono i soldi per aiutare le aziende americane produttrici di chip a incrementare la loro produzione, ma questi fondi non devono in alcun modo essere usati per fini diversi da quelli che Washington ha in mente. In particolare per potenziare, anche indirettamente, attività in Cina. È uno dei punti geopoliticamente più importanti formalizzati nelle norme che il Department of Commerce statunitense si è dato per la gestione del programma CHIPS for America. Che a sua volta mette in pratica il CHIPS Act deliberato dal Congresso americano e dal Presidente Biden lo scorso mese.

Il Creating Helpful Incentives to Produce Semiconductors (CHIPS) Act delinea, come altri programmi simili e in particolare quello europeo, un insieme di iniziative con cui gli USA intendono favorire il "reshoring" delle attività collegate alla progettazione e alla realizzazione di chip e semiconduttori. "La concentrazione geografica dell'industria dei semiconduttori nel Sudest asiatico lascia gli Stati Uniti vulnerabili a importanti sconvolgimenti causati da eventi climatici, tensioni geopolitiche, pandemie globali", spiegano le autorità USA.

Ma non c'è solo la questione della sicurezza degli approvvigionamenti dei semiconduttori. Il tema più importante è che le aziende americane che producono in Asia, e in particolare in Cina, di fatto generano un trasferimento tecnologico che riduce la competitivtà degli Stati Uniti nel loro complesso. Oltre due terzi dei semiconduttori più avanzati sono oggi prodotti a Taiwan e dal 2020 in poi, si spiega, il 75% della crescita nella produzione di semiconduttori "maturi" è stata sul territorio cinese. "I rischi per la sicurezza nazionale creati da queste evoluzioni sono aggravati - spiega il NIST - dal fatto che la Repubblica Popolare Cinese investe notevoli risorse nelle tecnologie a semiconduttori critiche per le forze armate statunitensi".

Da qui l'idea bipartisan di riportare quanto più possibile sul territorio USA le attività di ricerca, progettazione e produzione di chip e semiconduttori. Che però fanno capo ad aziende private, le quali devono essere "spinte" a un reshoring che per loro non è, in prima battuta, economicamente vantaggioso. Ecco quindi nascere il CHIPS for America Fund: 50 miliardi di dollari che Washington mette a disposizione per realizzare nuovi impianti di produzione negli Stati americani, potenziare quelli che già ci sono e attivare nuovi programmi pubblico-privati di ricerca nel campo.

Non male per le aziende USA di settore, che hanno colto la palla al balzo e hanno messo già sul tavolo i piani per realizzare, fondi governativi alla mano, nuovi impianti. Ma l'ufficializzazione del programma CHIPS for America li mette sull'avviso: i soldi dei contribuenti non possono servire per ottenere obiettivi diversi da quelli che Washington ha messo nero su bianco.

Prima gli USA, poi il business

Il primo punto indiscutibile è la sicurezza nazionale. Chi riceve i fondi CHIPS "non può compromettere la sicurezza nazionale inviando all'estero le tecnologie più avanzate". Ossia, i risultati delle nuove iniziative devono restare negli Stati Uniti e quindi - a rigor di logica - qualsiasi attività all'estero (anche in Europa, dunque?) sarà basata su tecnologie non certo all'avanguardia. Inoltre, le aziende che ricevono fondi CHIPS hanno il divieto, per dieci anni, di essere coinvolte "in transazioni significative che portino la concreta espansione della capacità produttiva di semiconduttori della Repubblica Popolare Cinese o di altre nazioni di interesse".

Se non è un embargo tecnologico formale - e sono previste "limitate eccezioni" - poco ci manca. La gran parte delle aziende statunitensi nel campo dei semiconduttori cercheranno di accedere ai fondi CHIPS, quindi queste stesse imprese non potranno di fatto incrementare la loro presenza in Cina. Anche chi fornisce comunque tecnologie legate al manufacturing dei chip sarà sotto esame: come si fa a garantire che una vendita di prodotti tecnologici, anche se non all'avanguardia, non porti una "concreta espansione" della produzione cinese?

Washington sembra avere anche non troppa fiducia sulla capacità delle imprese di mettere in secondo piano la propria situazione finanziaria rispetto agli obiettivi "patriottici" del CHIPS Act. È stato infatti ben chiarito che le aziende che useranno i fondi governativi non potranno sfruttare alcun denaro pubblico per ricomprare proprie azioni o per erogare dividendi agli azionisti. Meglio mettere le mani avanti, non si sa mai.


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