Dassault Systemes: dai gemelli virtuali alle virtual twin experience

Dobbiamo accelerare molto nel risolvere i problemi più critici del pianeta, gli approcci innovativi alla progettazione e alla simulazione possono essere un aiuto decisivo

Autore: f.p.

Se oggi molte software house si affannano a proporre gli ambienti virtuali come l'ennesima rivoluzione tecnologica che serve a tenere alta l'attenzione - e il livello di investimenti in gioco - su Silicon Valley e zone tecnologicamente limitrofe, in Dassault Systemes il virtuale è un fil rouge sempre presente praticamente da quarant'anni. Da quando cioè la casa francese ha "sdoganato" la progettazione 3D evoluta e l'ha poi man mano collegata con la prototipazione, con la simulazione, infine con i virtual twin.

Per Dassault, quindi, il virtuale è estremamente concreto. "La tecnologia esiste perché ha uno scopo, non nasce dal nulla", spiega in questo senso Olivier Ribet, Executive Vice President EMEAR della società. E la tecnologia - in questo caso il virtual twin - deve portare un valore tangibile. Dimostrato, sottolinea Ribet, dal fatto che "usando le tecnologie Dassault molti 'industry shaker' sono poi diventati attori consolidati dei loro mercati". Le Tesla del caso, che rivoluzionano un settore per poi diventarne il nome più rappresentativo.

Ora il fil rouge che va dal 3D al virtual twin fa un altro passo avanti e arriva a quelle che Dassault chiama le virtual twin experience, in cui la simulazione non riguarda solo un oggetto o un sistema ma anche l'ambiente dove è inserito e le esperienze di chi lo usa. La simulazione si estende quindi dal singolo oggetto, per quanto complesso, all'ecosistema che gli ruota attorno. Da chi lo sviluppa all'orchestrazione degli scenari, anche molto estesi, di utilizzo/applicazione dell'oggetto stesso.

Per Dassault il passaggio alle virtual twin experience non è solo una evoluzione tecnologica conseguente a quelle precedenti. È uno strumento essenziale per affrontare i problemi più critici delle nostre società. Creare gemelli virtuali degli ecosistemi che ruotano attorno a prodotti, sistemi, intere organizzazioni e modelli di business significa poterli ottimizzare con simulazioni ed ipotesi di sviluppo. Con un processo di prove ed errori che si snoda nel virtuale e garantisce così margini di manovra prima non applicabili.

Lo sviluppo dei vaccini anti-Covid è stato l'esempio più evidente, che tutti abbiamo avuto davanti, di quanto la simulazione possa cambiare le carte in tavola. Fare in qualche mese quello che di norma avrebbe richiesto diversi anni di studi clinici ha fatto la differenza. Questa esperienza ha generato sospetti ma piuttosto va estesa ovunque se vogliamo affrontare le sfide che abbiamo davanti - su tutte la mitigazione dell'emergenza climatica - guadagnando qualcosa per l'unica risorsa che non possiamo controllare: il tempo.

Non è un caso che - come ricorda Ribet - la transizione verde sia, insieme al cloud, il maggior fattore di crescita per Dassault. I campi collegati in cui le virtual twin experience possono portare valore sono davvero molti. L'esempio "estremo" portato avanti da Ribet riguarda i micro-reattori nucleari modulari a fusione che potrebbero concretizzarsi entro cinque anni proprio "grazie a tecnologie di simulazione che qualche anno fa non erano disponibili e non potevano portare a modelli industrialmente e scientificamente validi". Ma c'è molto di più, anche se non sempre più semplice.

"Le aziende del settore energetico europeo stanno ridisegnando il modo in cui si progettano e si realizzano le infrastrutture, abbandonando modelli che risalgono a una ventina di anni fa e che sono inadatti ai nuovi scenari", racconta Ribet. Poi c'è il crescente interesse europeo verso l'idrogeno come fonte energetica, che però impone di riprogettare le catene di produzione attuali per poterlo usare. O la volontà del settore aeronautico di abbandonare progressivamente i combustibili classici per passare prima ai biocombustibili, poi all'idrogeno e all'elettrico.

Sono tutte evoluzioni tecnologiche di largo impatto, non semplici e certamente costose. Ma inevitabili, quasi sempre, perché "il costo di non farle è ancora maggiore", sottolinea Ribet. La buona notizia? "In Europa abbiamo una immensa concentrazione di competenze che derivano da millenni di esperienza di progettazione e di ingegneristica", spiega Ribet. Competenze che possono essere valorizzate proprio integrandole nei virtual twin, perché questi "non descrivono solo il 'cosa' ma anche il 'come' e il 'perché' di un oggetto o un sistema".

Integrare la conoscenza nel virtuale permette di preservarla e di condividerla. Ma soprattutto di mettere a fattor comune conoscenze provenienti da domini diversi, che una volta erano nettamente separati e non avevano un modo efficace per dialogare. Questa nuova conoscenza condivisa permette di raggiungere risultati rilevanti in tempi brevi, affrontando sfide progettuali e tecniche che sino a qualche tempo fa non sarebbero state proponibili. E dato che, come ricorda Ribet, in molti ambiti purtroppo "non c'è più il tempo di seguire il modello di sviluppo tradizionale", questa possibilità può fare la differenza.


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