L’Intelligenza Artificiale e le applicazioni moderne hanno fatto superare i 20 kW di consumo di energia per i server, e le componenti sono sempre più roventi.
Autore: Valerio Mariani
Si prende un po’ alla larga la questione, ma alla fine si arriva al punto: i dati hanno bisogno di essere raffreddati, con il liquido apposito è meglio. “I dati sono essenziali per il progresso umano e sono integrati nel tessuto stesso della nostra società. Il trasferimento dei dati dipende dalla continuità delle applicazioni vitali all'interno dei data center, delle reti di comunicazione e di altre strutture critiche”. Apre così Karsten Winther, presidente Emea di Vertiv, la giornata dedicata al “liquid cooling” del produttore (soprattutto) di impianti di raffreddamento.
Il collegamento è chiaro: i dati rimbalzano da un data center all’altro e la loro elaborazione mette a dura prova l’hardware. Ciò significa temperature roventi e conseguente necessità di raffreddare gli ambienti. Ed è fortemente consigliabile passare velocemente dal tradizionale raffreddamento ad aria a uno più efficace, a liquido. Perché il calore dissipato con i sistemi ad areazione non è sostenibile.
Vertiv è un colosso mondiale della refrigerazione. Se si considerano i dati pubblici sul comparto, che parlano di un mercato da circa 10 miliardi di dollari nel 2022 tendente ai 15,7 entro il 2025, e che l’azienda americana dichiara vendite per circa 5 miliardi di dollari, considerarla leader non è del tutto sbagliato. Nei 5 miliardi, però, rientrano anche le entrate delle altre componenti d’offerta. In sintesi, l’azienda produce sistemi di generazione e accumulo di energia (UPS) e, appunto, sistemi per il raffreddamento.
Il brand si rivolge per il 70% del suo fatturato ai data center, con una presenza forte nelle Americhe (44%), seguono l’Asia Pacific (32%) e la regione EMEA (24%). Da questo dato la prima evidenza dell’importanza strategica che ha il mercato europeo per Vertiv. L’azienda deve crescere nel Vecchio Continente, e deve farlo ora, quando nella nostra Regione la diffusione dei data center – locali e non – è ai massimi storici. Si pensi agli investimenti locali degli hyperscaler, ma anche all’Edge Computing, che richiede forte elaborazione periferica, e ai data center aziendali, che si può sussurrare stiano vivendo una seconda giovinezza.
Dei 23 centri di produzione, testing e assemblaggio, 9 sono in Europa, dei 14 Customer Experience Centers (o laboratori), 5 sono nel nostro Continente. In Italia, in particolare, Vertiv è presente nei pressi di Bologna e a Tognana, a venti minuti da Padova. Nei due centri si assemblano, si testano e si distribuiscono colossi per il raffreddamento, spesso più grandi di un container.
“I data center nel mondo sono responsabili di un valore tra l’1% e il 3% del consumo di energia – prosegue Winther – toccando i 20-50 MW all’anno, l’equivalente di 37mila case”. E, con il consumo di energia cresce anche la responsabilità ambientale dei data center. È necessario, dunque, non solo considerare sistemi refrigeranti più efficaci, ma anche più efficienti. Con i sistemi ad aria, che disperdono totalmente l’energia, nel prossimo futuro se ne andranno anche i generatori diesel, a favore di tecnologie più sostenibili come quelle delle batterie a idrogeno. Dunque, imperativo non solo raffreddare i data center, ma farlo in modo da avere un ritorno (di energia).
Il problema di termodinamica dei fluidi è abbastanza chiaro. I rack di un data center scaldano, e sono sempre di più. Questo perché l’Intelligenza Artificiale e le moderne applicazioni richiedono una capacità di calcolo molto alta. Ciò si traduce in calore generato da chip e componenti, in spazi sempre più densi. Raffreddare è imperativo, ma farlo con i sistemi ad aria significa disperdere l’energia prodotta dagli impianti di refrigerazione sottoforma di calore.
Detto molto semplicemente, il liquid cooling si basa su un reticolo di tubi o tubicini, più o meno grandi, che si distribuiscono in una certa area e in cui si attiva un circuito chiuso in cui viaggia il liquido. Può essere l’area molto piccola di una scheda di un rack, la struttura perimetrale di uno o più rack o un sistema di raffreddamento esterno misto, composto da tubi e da ventole che dissipano il calore generato nei tubi, come detto di dimensioni dell’ordine di un container. In tutti i casi, il liquido abbassa la temperatura del sistema e scaldandosi, allo stesso tempo, genera calore. Rispetto ai sistemi tradizionali, il vantaggio è che il calore generato non si disperde e può essere riutilizzato, per esempio per riscaldare gli ambienti limitrofi al data center, come sta facendo Meta in via sperimentale.
Da qui il valore della tecnologia di raffreddamento liquido, che non è certo una novità ma che sta rapidamente guadagnando la scena, costi e limiti permettendo. Già perché i dubbi non riguardano tanto i nuovi data center ma il “retrofitting”, ovvero la riconversione dei vecchi data center. “È indubbio che il vincolo principale alla diffusione del liquid cooling sia il retrofitting – afferma Winther -. È fondamentale partire con un’analisi molto precisa delle richieste di elaborazione di un data center, considerando le applicazioni coinvolte”. Insomma, non sempre può essere conveniente convertire totalmente un data center al liquid cooling, anche perché parliamo di costi notevoli. Ma, come vedremo, Vertiv offre dei compromessi interessanti.
“La temperatura per metro quadro di un microprocessore può raggiungere il megawatt in certe condizioni di stress – conferma Jon Summers, professore universitario e specialista della materia presso l’istituto di ricerca svedese RISE –“. Notevole, visto che quella del Sole è di 6 MW per metro quadro. Con i sistemi di liquid cooling è possibile abbassare la temperatura dei rack a 23 gradi e ottenere calore a una temperatura di 40 gradi. Attualmente, i due filoni tecnologici sono il liquid cooling Direct to Chip, che si ottiene integrando il sistema a tubicini direttamente sulle schede, o l’Immersion Cooling, che prevede l’immersione diretta dei server in un fluido conduttore dielettrico. Ma si tratta di tecnologie complesse da implementare visto che richiedono un coinvolgimento diretto dei produttori di componenti. Meglio puntare, dunque, sullo scambio di calore per contatto, inserendo una unit refrigerante ai lati della batteria di rack. Ottima soluzione, soprattutto per risolvere il retrofitting.
In ogni caso, la scelta che offre Vertiv è molteplice e dipende, essenzialmente, dalla necessità di elaborazione e dallo spazio in cui si concentra (densità). Si può decidere di utilizzare i sistemi esterni, che combinano il liquid cooling con la dissipazione per areazione, o sistemi più piccoli da introdurre negli spazi interni del data center. Questi ultimi potrebbero anche raffreddare solo una sezione del data center, dove è concentrata la maggiore potenza di elaborazione. La tendenza per i data center esistenti è di avvicinarsi il più possibile alla fonte di calore, ciò permetterebbe l’introduzione di sistemi a costo ridotto e richiederebbe solo una reingegnerizzazione degli spazi.
Proprio per questo, il protagonista della giornata è il nuovo Vertiv Liebert XDU. Si tratta di una unità di distribuzione del raffreddamento da liquido a liquido disponibile in due capacità, da 450kW e 1368kW, che si posiziona tipicamente in coppia ai due lati del rack, li raffredda e cattura il calore del liquido di ritorno. Il sistema utilizza un circuito idrico chiuso che evita qualsiasi spreco ed è in grado di riutilizzare il calore per riscaldare uffici, case o fattorie nelle vicinanze. Liebert XDU utilizza controlli integrati per variare la velocità della pompa, ottimizzare la temperatura dell'acqua di alimentazione e fornire un monitoraggio intelligente del flusso e allarmi.