Zero Trust: l'Italia è messa bene

Una indagine Zscaler indica che quasi tutte le aziende italiane usano o hanno pianificato di usare soluzioni Zero Trust

Autore: Redazione ImpresaCity

L'approccio Zero Trust? Forse è il modo migliore per mettere in sicurezza le infrastrutture distribuite e in particolare il cloud. Anche perché altri approcci più tradizionali fanno fatica ad adattarsi a scenari in cui le risorse IT e i loro utenti sono potenzialmente del tutto disaggregati. Questo è il succo essenziale di una indagine che Zscaler ha condotto su un campione di responsabili IT senior di tutto il mondo, Italia compresa.

In sostanza, spiega Zscaler, un approccio "fiducia zero" - il principio che nessun utente, dispositivo o applicazione è intrinsecamente affidabile - è quello più adatto a una realtà lavorativa ormai altamente distribuita a livello geografico e incentrata su servizi cloud e mobile computing.

Secondo l'indagine lo pensa anche il 64% del campione italiano indagato, che ritiene come la messa in sicurezza del cloud sia impossibile con le infrastrutture di sicurezza di rete tradizionali o che le soluzioni Zero Trust presentino chiari vantaggi, rispetto ai firewall e alle VPN, per l'accesso da remoto alle applicazioni. In particolare, il 54% del campione italiano pensa che le VPN o i firewall perimetrali siano inefficaci nel proteggere dagli attacchi informatici o che forniscano scarsa visibilità sul traffico delle applicazioni e sugli attacchi.

Questa perplessità sull'efficacia delle soluzioni classiche di cyber security si traduce anche in una generica sensazione di insicurezza del cloud. In Italia, solo il 12% delle imprese si sente pienamente sicuro nell'utilizzo della propria infrastruttura cloud. La media EMEA è del 14%, il top della fiducia in Europa è della Svezia: 21%. Per l’Italia, lo studio Zscaler rileva, tra i principali ostacoli nel passaggio al cloud: preoccupazioni sulla privacy dei dati (citata da ben il 33% del campione), abilitazione dell'accesso remoto per dispositivi e sistemi industriali, elevata complessità della rete da adottare.

L'evoluzione dell'hybrid working può essere un fattore di spinta per una rivisitazione in ottica Zero Trust delle politiche di sicurezza. In questo senso i responsabili IT italiani intervistati nella ricerca di Zscaler hanno delineato un futuro del lavoro piuttosto bilanciato: il 37% prevede lavoratori in ufficio a tempo pieno, il 31% dipendenti completamente da remoto, il 32% in modalità ibrida.

L'Italia peraltro sembra essere decisamente ben messa nel passaggio ad approcci Zero Trust. Il 97% del campione nazionale ha già implementato soluzioni "fiducia zero", lo sta facendo o ha pianificato di farlo. Si tratta della percentuale più elevata dell'indagine.

Quali ragioni hanno spinto di più verso questa evoluzione? Per il 52% del campione italiano le soluzioni Zero Trust evitano che i dipendenti abbiano user experience incoerenti tra accesso in locale e accesso in remoto o in cloud. Il 30% sostiene che i problemi di accesso alla rete portano perdita di produttività. Un altro 30% indica che le soluzioni Zero Trust permettono ai dipendenti di accedere ad applicazioni e dati anche da dispositivi personali.

Tutto bene, quindi? Non proprio. Zscaler vede in queste cifre molti lati positivi ma anche un limite: l'approccio Zero Trust viene considerato in larga prevalenza come un modo per affrontare problemi di cyber security, poche aziende lo vedono anche come un abilitatore della digitalizzazione. Un ruolo che secondo Zscaler lo Zero trust può in effetti ricoprire, perché elimina parte della complessità dell'IT attuale e permette di portare a bordo più facilmente altre tecnologie emergenti che in qualche modo impattano sulle reti o sono influenzate da esse.


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