Cosa cambia con il decreto legge 13/2023, che integra diverse misure pensate per velocizzare l'attuazione del PNRR
Autore: f.p.
Sta tutto nel nome. O meglio, nella denominazione: "Disposizioni urgenti per l'attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza". Tecnicamente è il Decreto Legge 13/2023, nato - lo si spiega nel preambolo - sulla spinta di una "straordinaria necessità e urgenza" di definire nuove misure per velocizzare la messa in atto del PNRR e anche del complesso di investimenti complementari a supporto (il PNC). Non è per fortuna un decreto omnibus, come spesso capita con i decreti-semplificazione: il grosso degli articoli del decreto è, in effetti, davvero orientato a snellire i processi legati all'innovazione.
Semplificando molto, il senso del decreto sta in una valutazione che già molti osservatori avevano fatto: le buone intenzioni del PNRR si scontrano poi, nella pratica, con la lentezza della burocrazia e di norme fatte per controllare e monitorare le spese pubbliche, non per agevolarle. Senza una cabina di regia politico-organizzativa che faccia da stimolo e controllo per le varie azioni sul territorio, il mitologico "cronoprogramma" del PNRR rischia di essere velleitario.
Per questo, spiega la nuova legge, servono sia "un'ulteriore semplificazione e accelerazione delle procedure, incluse quelle di spesa, strumentali all'attuazione del Piano", sia "un rafforzamento della capacità amministrativa delle amministrazioni titolari degli interventi". Serve però anche qualcosa in più: le politiche di coesione, cioè le scelte fatte e da fare per distribuire le risorse pubbliche equamente e in funzione delle opportunità e delle necessità dei vari territori, vanno oggi integrate con il PNRR e non possono seguire strade troppo diverse.
All'atto pratico e guardando agli investimenti, l'allineamento tra PNRR e politiche di coesione comporta un potenziale spostamento delle risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione (FSC) verso gli obiettivi del PNRR. Per essere (più) sicuri di raggiungere gli obiettivi prefissati del Piano Nazionale e quindi di non perdere alcuna risorsa di NextGenerationEU. L'impressione netta è che da qui al 2026 - scadenza potenzialmente da rivedere, ma l'ipotesi a Bruxelles circola ancora solo ufficiosamente - qualsiasi risorsa ragionevolmente spostabile verso gli obiettivi più concreti del PNRR vi sarà effettivamente allocata. A bocce ferme, o a scadenza del 2026 spostata, si potranno fare ragionamenti diversi.
La prima conseguenza di questa visione è la maggiore centralizzazione del controllo degli investimenti e delle attività collegate al Piano Nazionale. A questo serve innanzitutto il nuovo Ispettorato generale per il PNRR, che fa capo al MEF e ha compiti di "coordinamento operativo sull'attuazione, gestione finanziaria e monitoraggio del PNRR". Si occupa anche della gestione del sistema di monitoraggio delle riforme e degli investimenti del PNRR, in questo dando supporto agli enti pubblici coinvolti per la PAL e la PAC. E ha funzioni di presidio dei processi amministrativi collegati all'attuazione del Piano Nazionale, di concerto con la Ragioneria generale dello Stato.
Resta difficile velocizzare il PNRR se questo non è molto vicino alle metaforiche stanze del potere politico, e per questo non basta avere un Ministro (Raffaele Fitto) "anche" per il PNRR. Ecco quindi nascere la Struttura di missione PNRR presso la Presidenza del Consiglio dei ministri: un organismo di una sessantina di persone e quattro direzioni generali il cui compito è tirare complessivamente le fila della situazione-PNRR per poterne presentare al Governo, in ogni momento, una fotografia aggiornata e realistica. In base a questa fotografia il Governo prende le sue decisioni strategiche, ma è già la Struttura di missione PNRR che può attivare le misure correttive necessarie quando la fase di attuazione del PNRR si scosta troppo dagli obiettivi programmati.
Per due organismi che nascono ce n'è uno che scompare: è l'Agenzia per la coesione territoriale, le cui funzioni vengono spostate al Dipartimento per le politiche di coesione della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Il motivo di questa decisione lo si intravede nella denominazione dell'articolo di legge che la introduce ("Disposizioni per il potenziamento delle politiche di coesione e per l'integrazione con il PNRR") ed è quello che abbiamo già accennato: coesione e PNRR devono andare di pari passo e, per questo, le politiche di coesione nel loro complesso vanno gestite in maniera un po' diversa.
Come? Non è spiegato chiaramente, ma traspare dai compiti del neonato Nucleo per le Politiche di Coesione (NUPC): una quarantina di persone con "specifica e comprovata specializzazione professionale" nella valutazione e nella gestione di progetti di sviluppo socio-economico portati avanti dalle PA o comunque con finanziamenti pubblici. Il NUPC dovrà - come faceva prima il Nucleo di valutazione e analisi per la programmazione, da cui deriva - in primis valutare e aiutare a monitorare i progetti finanziati dal FSC, ma parallelamente anche valutare quanto questi siano integrati con il PNRR e, se è il caso, proporre modifiche che potenzino questa integrazione.
Il secondo asse portante del Decreto Legge è velocizzare l'attuazione del PNRR eliminando almeno in parte i freni che può incontrare nell'esecuzione dei singoli progetti. E qui gli interventi messi in campo sono davvero molti. Si parte da quello che la legge chiama "superamento del dissenso": fare in modo che le Amministrazioni locali e centrali non la tirino troppo in lungo quando si tratta di dare pareri o autorizzazioni o comunque nell'adempiere ai loro obblighi. Molti limiti temporali in questo senso sono stati accorciati e, "ove sia messo a rischio il conseguimento degli obiettivi intermedi e finali del PNRR", il Governo può anche decidere di aggirare i paletti delle Amministrazioni.
Non c'è solo il bastone, però. Il Governo sa bene che di questi tempi portare avanti progetti innovativi, soprattutto infrastrutturali, non è semplice. Per questo là dove ha più margine di manovra - ossia nell'attuazione del PNC, non del PNRR in sé - ha un po' allentato i cronoprogrammi procedurali che erano stati definiti a metà 2022. Ma si può giocare con le date fino a un certo punto, perché resta la necessità inevitabile di rispettare il cronoprogramma finanziario (i fondi non impiegati entro il loro anno di competenza si perdono) e gli impegni assunti con la Commissione europea nel PNRR.
La semplificazione è stata cercata anche accentrando e velocizzando alcune procedure amministrative o burocratiche. Un lungo Articolo 8 del Decreto è tutto dedicato a nuove misure per potenziare la capacità amministrativa delle Amministrazioni "titolari delle misure PNRR" e dei "soggetti attuatori". In sintesi, più fondi e risorse per gestire la parte amministrativa legata ai progetti e per completarli. Inoltre, molte pratiche e comunicazioni possono ora essere portate avanti digitalmente dalle entità coinvolte, presentando i relativi documenti semplicemente via PEC.
Bastano queste novità - e diverse altre, più settoriali, sparse nel Decreto Legge - a tranquillizzare chi teme che i buoni effetti del PNRR siano in parte vanificati dai suoi ritardi? Probabilmente no, perché l'attuazione del Piano Nazionale è un vero e proprio macrocosmo complesso di entità e relazioni che non sempre si possono sposare come dovrebbero. Il segnale però va colto come positivo: sul PNRR si sta lavorando, perché è chiaro che il 2026 non è poi tanto lontano.