All’evento ufficiale di inaugurazione dell’Italian Datacenter Association si evidenziano le criticità allo sviluppo del comparto.
Autore: Valerio Mariani
“C’è chi, quando si parla di data center, pensa a un call center”. Storie di vita vissuta, raccontate da Manuel Gimenez Rasero, Executive Director di SpainDC, la costola spagnola della Dutch Datacenter Association. Una storia di vita vissuta tra le pareti dei palazzi istituzionali, segno che, per la neonata associazione di categoria, il primo obiettivo è la divulgazione.
Il manager spagnolo è uno degli intervenuti all’IDA Grand Opening a Milano, l’evento ufficiale di inaugurazione dell’Italian Datacenter Association ospitato da Vertiv, uno dei principali promotori. “A oggi sono 50 le aziende associate e unite nella promozione del digitale in Italia” afferma Emmanuel Becker, presidente di IDA e Managing Director di Equinix. Determinando una corrispondenza biunivoca (digitale-data center) che si esplicita benissimo nel payoff dell’evento “non c’è business senza digitale, non c’è digitale senza data center”. E i tanti segnali che provengono dal mercato non fanno che confermarlo.
C’è da valorizzare il comparto, che peraltro non è ancora considerata ufficialmente come economia, e c’è da fare rete tra gli operatori locali e internazionali, perché lo sviluppo ordinato dell’economia dei data center determina una scossa al PIL nazionale e, se non ci si muove, sarà il PIL di qualche altra nazione europea ad avvantaggiarsene.
“IDA si propone innanzitutto di fare educazione – prosegue Becker – e di promuovere lo sviluppo del digitale attraverso uno sforzo comune e federato. Ancora, vorremmo creare un comparto più strutturato, più efficiente, attento alla sostenibilità e vorremmo dare un contributo effettivo allo sviluppo delle competenze”.
C’è da spiegare correttamente, dati alla mano, il ruolo, e l’impatto, nella società di un data center. E per questo è stato particolarmente illuminante l’intervento di Andrea Calzavacca, Head of Loan Advisory & Alternative Investments di CBRE, oltre alla testimonianza diretta di Sara Santagostino, sindaca di Settimo Milanese, comune dell’hinterland del capoluogo lombardo ad altissima densità di strutture di data center concentrate nel cosiddetto “distretto del Castelletto”.
Tra le slide di Calzavacca, un paio rendono perfettamente conto della situazione. Secondo un incrocio, non banale proprio perché parliamo di un’economia ancora non riconosciuta, dei dati Istat i lavoratori del comparto in Italia sarebbero già 17350. Per fare un confronto, l’industria del trasporto aereo conta 20mila addetti. Il giro d’affari stimato è di circa 5 miliardi di euro all’anno, più o meno quanto quello dell’industria dello Spettacolo. E poi c’è l’indotto conseguente alla costruzione delle nuove strutture e alla manutenzione, o alla riconversione, delle esistenti. Qui non c’è un dato assoluto, ma Calzavacca sostiene che “per la realizzazione dei progetti in essere, ci si può aspettare un valore di circa 3 miliardi di euro solo sul comparto delle costruzioni”. C’è poi il dato ricordato da Manuel Gimenez Rasero: “per ogni euro investito in un data center ne tornano 7 sul valore del PIL”.
I dati sviscerati da Calzavacca non lasciano adito a interpretazioni. “Per ora siamo a una media di 2 operatori all’anno che investono in Italia, e abbiamo contezza di una lista di 20 ipoteticamente interessati a investire nel nostro Paese – prosegue Calzavacca. Inoltre, il rapporto tra il valore numerico del PIL prodotto dalla città di Milano per megawatt è ancora molto sbilanciato, e ciò rappresenta una grande opportunità”.
Ma la questione non riguarda solo Milano, anzi. La presenza di Allfredo Viglienzoni, Deputy Director General presso il Comune di Genova e di Valeria Rossi, Executive President & Chairwoman di Open Hub Med, lo dimostra. Da Genova a Carini (Palermo), il data center è affare per tutta la Penisola. A Genova c’è grande interesse al proliferare dei cavi sottomarini nei dintorni della vicina Marsiglia, mentre Carini è il nuovo polo di interscambio cruciale per il transito dei dati digitali nel Mediterraneo. E poi c’è Roma, ma anche tutta la dorsale orientale est dello Stivale. In questo caso la posizione geografica dell’Italia, ponte tra la nascente e interessante economia africana e tra occidente e oriente europeo, rappresenta solo un enorme vantaggio, e un’opportunità di crescita, in termini di digitalizzazione ma soprattutto economica.
Dunque, analisi e rilevazioni insistono sull’impatto economico (positivo) sulle singole comunità locali e, di conseguenza, sull’intero Sistema Paese. Un data center porta lavoro, è un’opportunità professionale interessante per le nuove generazioni, e influisce direttamente sul benessere delle comunità locali, nonostante le stesse fatichino a capirlo. Per questo, se il calore dissipato da un data center viene restituito alla cittadinanza sottoforma di energia per il riscaldamento, ed è ciò che succede per tutti i data center moderni, bisognerebbe strillarlo ai quattro venti. E se devono farlo le istituzioni, è importante che per prime siano consapevoli e competenti.
L’accenno all’introduzione di un modello di economia circolare, e quindi alla sostenibilità dei data center, è l’altro argomento caldo della serata. Peter Lambrecht, padrone di casa in quanto vicepresidente Emea alle vendite di Vertiv è perentorio: “i data center producono rifiuti, il calore dissipato è un rifiuto e abbiamo l’obbligo di capire come gestirlo al meglio secondo l’applicazione di un modello di circular economy”.
Le considerazioni sulla sostenibilità, sociale e non solo ecologica, di un data center fanno comprendere che i veri protagonisti di questo mercato non sono i produttori di piattaforme cloud e neanche i vendor di server, storage e networking ma, piuttosto, studi di progettazione, come Lombardini22, e una lunga lista di fornitori di infrastruttura e di sistemi di condizionamento.
“La certificazione ormai è particolarmente orientata alla sostenibilità, il Tier IV non basta più – afferma Alberto Caccia, Head of PM&CM di Lombardini22, la base è la certificazione di sostenibilità per tutto il processo nel suo complesso: dalla demolizione del vecchio sito al riutilizzo delle risorse energetiche”. Ma, se in proposito a livello comunitario si sono fatti notevoli passi in avanti, la legislazione locale rimane indietro. E questo è un problema, visto che i primi interlocutori sono proprio loro, gli amministratori locali.
L’ultima delle tavole rotonde che si sono avvicendate durate la serata della Italian Datacenter Association non poteva non affrontare la questione delle competenze. Anche in questo contesto si prende atto che l’istruzione pubblica, anche universitaria, da sola poco può fare. E, allora, spetterebbe a IDA o alle singole aziende, attivare i necessari percorsi formativi. “Partendo però da una mappatura delle necessità – sostiene Alfonso Romano, Senior Director Emea Site Selection and Acquisition di Vantage Data Center” a cui si affianca Valeria Rossi che illustra la sua ricetta: “partire dalla mappatura delle competenze per poi costruire percorsi molto mirati, far dialogare fin dalle scuole superiori aziende e Istruzione”.