AWS e Google hanno eliminato, ciascuna a suo modo, i costi di uscita per chi abbandona i loro cloud
Autore: Redazione ImpresaCity
Tutte le imprese che stanno valutando la migrazione al cloud dei loro servizi e dei loro dati ormai sanno bene che si tratta di un percorso sì vantaggioso, sotto molti punti di vista, ma anche sempre complesso e a rischio di "lock-in" decisamente spiacevoli. Il tema è stato anche il centro di analisi e valutazioni a livello UE e di studi approfonditi di Authority nazionali.
La conclusione di tutte queste valutazioni è sempre stata, più o meno, la medesima: portare i propri dati in un determinato cloud è molto più semplice che portarli via da lì. Non tanto tecnicamente ma perché i cosiddetti "costi di uscita" - tecnicamente gli egress cost - possono essere molto elevati.
Varie dinamiche rendono questo rischio poco sostenibile, anche per i grandi hyperscaler. C'è il fatto che per la gran parte delle imprese "cloud" significhi oggi "multicloud ibrido", il che richiede una buona dose di elasticità - almeno teorica - nel collocamento dei dati. C'è che la cloud repatriation non è più un tabù. C'è soprattutto che nuove normative antitrust stanno esplicitamente cercando di rendere il cloud lock-in cosa del passato. Così sono gli hyperscaler stessi a portarsi avanti, per evitare inutili problemi legali, pratici e di immagine.
Tra i tre principali hyperscaler, Google Cloud è stato il primo, a metà dello scorso gennaio, a rendere gratuiti i trasferimenti dei dati per chi voglia abbandonare il suo cloud e trasferirsi verso un altro cloud provider e/o tornare on-premise. Questa migrazione gratuita non è automatica e richiede una esplicita autorizzazione, ma ottenerla - a quanto spiega Google Cloud - non dovrebbe essere complicato.
La migrazione gratuita richiede però la chiusura dei contratti con Google Cloud, che comunque è sempre ben disponibile a riaccogliere il cliente eventuale figliol prodigo. Questa limitazione rappresenta però un problema in ottica davvero multicloud, perché rende in teoria impossibile conservare i propri dati presso un provider e usare i servizi di elaborazione invece di Google Cloud.
Google Cloud peraltro mette in chiaro che, dal suo punto di vista, il problema degli egress cost è marginale. La vera causa del cloud lock-in sono piuttosto le politiche di licensing dei fornitori di software. "Alcuni fornitori legacy sfruttano i loro monopoli software on-premise per creare monopoli cloud, utilizzando politiche di licenza restrittive che bloccano i clienti e ostacolano la concorrenza", ha spiegato Amit Zavery, GM/VP, Head of Platform, Google Cloud.
L'accusa di Google Cloud non fa nomi ma è dettagliata: le licenze software di alcuni provider fanno in modo di imporre "la scelta di chi può lavorare con i clienti e come, l'addebito di 5 volte il costo se i clienti decidono di utilizzare determinati cloud della concorrenza e la limitazione dell'interoperabilità del software indispensabile con l'infrastruttura cloud della concorrenza".
Ora AWS ha seguito in qualche modo l'esempio di Google Cloud, eliminando i costi cosiddetti di "data transfer out to the internet". Anche in questo caso il processo di migrazione dei dati verso un altro cloud provider non è automatico e richiede l'approvazione esplicita dei team di supporto AWS. Questo anche perché AWS, a differenza di Google, non richiede di terminare del tutto il rapporto commerciale per avere una migrazione gratuita. Quindi intende monitorare cosa fanno i clienti per evitare che qualcuno usi questa strada semplicemente per muovere periodicamente molti dati a casto zero.
Anche AWS, peraltro, sottolinea che gli egress cost sono un problema sono in apparenza. In primo luogo perché le aziende clienti AWS hanno già a disposizione 100 GB/mese di "egress" gratuito verso Internet. Ma soprattutto per la questione delle licenze software sottolineata anche da Google. "Alcuni fornitori IT impongono restrizioni sulle licenze dei loro software che rendono finanziariamente impraticabile per i loro clienti la scelta di un provider cloud diverso da loro", spiega AWS.
Anche AWS, come Google, non fa nomi. Ma si sa molto bene chi sia nel mirino dei due hyperscaler: il loro terzo concorrente, ossia Microsoft. Che al momento non ha fatto annunci specifici sul tema degli egress cost.