Secondo il Centro studi di Unimpresa nel periodo che va dal 2018 al 2023, le banche italiane hanno versato complessivamente 22,6 miliardi di tasse nelle casse dello Stato.
Autore: Redazione ImpresaCity
Pressione fiscale “paradisiaca” per le banche italiane. Nel 2023, gli istituti di credito del nostro Paese hanno realizzato, complessivamente, 40,6 miliardi di euro di utili, a fronte dei quali hanno pagato solo 8,1 miliardi di imposte. Ne consegue che il tax rate, cioè il rapporto tra tasse versate nelle casse dello Stato e profitti, è stato pari al 20,1%.
Lo scorso anno il fatturato complessivo del settore bancario tricolore è stato pari a 102,6 miliardi e, di questi, 62,1 miliardi sono legati al margine d’interesse cioè ai guadagni sui tassi legati ai prestiti alla clientela. Un risultato non diverso a quello dell’anno precedente: nel 2022 ammontavano infatti ad appena 4 miliardi e 300 milioni di euro le somme versate al fisco, da parte degli istituti, a fronte di 88,1 miliardi di incasso, di cui 45,5 miliardi derivanti dal margine d’interesse e di 25,4 miliardi di utile.
Negli ultimi sei anni, il totale dei versamenti del settore bancario al fisco è di 22,6 miliardi ovvero il 19,6% dell’utile conseguito, pari complessivamente a 11569 miliardi.
È quanto emerge da un paper del Centro studi di Unimpresa secondo il quale in media, dal 2018 al 2023, le banche del nostro Paese hanno pagato 3,7 miliardi di tasse a fronte di 86,1 miliardi di fatturato e di 19,2 miliardi di utile.
Un tax rate, contestato, ma non corretto, dai rappresentanti del settore, che è nettamente inferiore alla media italiana per aziende e lavoratori, stabilmente superiore al 42%. Ciò senza dimenticare che il peso delle tasse sulle imprese, specie quelle più piccole, è spesso superiore al 60%.
«Come nel 2022, anche nel 2023 il settore bancario ha beneficiato della politica monetaria e dei guadagni straordinari sui prestiti. Il 2024 si chiuderà con risultati ancora migliori. La tassa sugli extra profitti realizzati dalle banche grazie all’aumento del costo del denaro, di cui si è tornati a discutere in questi giorni, rappresenta una misura di equità sociale che serve a ridistribuire la ricchezza prodotta nel Paese per fattori esogeni, cioè esterni all’andamento del ciclo economico interno. Non è chiaro se il governo varerà un provvedimento in questa direzione: dal nostro punto di vista sarà essenziale una linea netta e chiara, evitando, come lo scorso anno, un tira e molla, accompagnato da correzioni talora poco chiare, che hanno generato solo confusione anche sui mercati finanziari» commenta il presidente di Unimpresa, Giovanna Ferrara.