Tra process redesign e continuous improvement

Una corretta gestione dei processi è essenziale per potersi adattare al cambiamento: in questi casi è meglio optare per il process redesign o per il continuous improvement?

Autore: Romeo Scaccabarozzi

Una premessa è fondamentale: la gestione dei processi è centrale dal momento che qualsiasi azienda deve confrontarsi con i cambiamenti interni ed esterni. Conseguentemente, se non vuole rimanere disallineata rispetto a essi, con conseguenze negative in termini di efficienza ed efficacia nel raggiungimento dei risultati, deve modificare i “modi” con cui le attività vengono svolte. In altri termini il process management, o meglio, il process improvement, è indispensabile per operare al meglio negli attuali scenari di mercato e macroeconomici in costante trasformazione.

In estrema sintesi potremmo affermare che esistono due principali scuole di pensiero: il process redesign e il continous improvement. Nel primo caso, come dice il termine, i processi vengono ridisegnati radicalmente; mentre nel secondo si opera con piccoli cambiamenti continuativi. Quindi parliamo, da una parte, di interventi più ampi e profondi, di natura più strategica, che l’azienda nella maggioranza dei casi è costretta a implementare per recuperare efficienza e competitività. Dall’altra, si intendono variazioni più localizzate e di taglio più operativo che l’organizzazione decide di adottare per sostenere costantemente la propria efficacia.

Siamo di fronte però non a due approcci alternativi, come spesso si ritiene, ma sinergici. In altre parole, il process redisign dovrebbe essere adottato quando ci si trova di fronte a cambiamenti strutturali/sistemici ma affiancandolo a un cambiamento continuo dei processi per generare piccoli miglioramenti nel tempo, anch’esso come parte integrante della gestione del business. Un utilizzo che possiamo definire ibrido permette quindi alle aziende di affrontare problemi sistemici, introducendo anche nuove metodologie e tecnologie nei processi, e nello stesso tempo beneficiare di piccoli ma costanti adeguamenti delle modalità con cui l’impresa opera.

Inoltre, il continuous improvement concorre a sostenere una cultura di apprendimento e adattamento continui all’interno dell’organizzazione in grado di amplificare l’aumento dell’efficienza operativa e i benefici della gestione delle aree di debolezza che si mira a raggiungere con il redesign.

Romeo Scaccabarozzi, Amministratore Delegato di Axiante

L’esperienza di Axiante conferma che affinché entrambi gli approcci abbiano successo occorre che il top management abbia una chiara visione dei cambiamenti da affrontare e delle relative ricadute sui meccanismi e flussi operativi dell’azienda in termini positivi sia negativi. Secondariamente, è indispensabile che l’organizzazione venga rassicurata informando e coinvolgendo in primis i team interessati e soprattutto fornendo loro – là dove possibile – certezze sul loro futuro e comunicando eventuali cambiamenti di ruolo come occasioni di upskilling o reskilling. Queste situazioni possono essere infatti destabilizzanti e onerose in termini di impegno richiesto ai dipendenti, in alcuni casi purtroppo anche traumatiche perché possono richiedere decisioni difficili come il taglio o il trasferimento del personale.

Il fattore tempo è sicuramente uno degli aspetti più critici nel caso in cui l’organizzazione abbia l’esigenza di ridisegnare i propri processi - e ciò accade nella grande maggioranza dei casi con una situazione di urgenza, però l’esperienza ci dice anche quanto sia importante che il disegno e la pianificazione degli interventi vengano trattati con grande attenzione (e quindi anche in tempi medio-lunghi) affinché quella operativa, di messa a terra, si chiuda il più brevemente possibile per mantenere l’organizzazione operativa.

Non va sottovalutato che oggi le tecnologie possono aiutare a re-ingegnerizzare e a riprogettare i processi, per cominciare sfruttando i dati disponibili per avere una visione non empirica di dove l’azienda è, per decidere dove andare e quali processi quindi rivedere e con quale approccio. Passaggi delicati e complessi.

Alla luce di tutto ciò, e sottolineando il fatto che il process improvement è un compito impegnativo, è chiaro il motivo perché tuttora molte aziende preferiscono evitare questo approccio. Ma questo è un forte limite perché rischia, soprattutto nell’attuale contesto in cui le aziende sono impegnate nella digital trasformation, da un lato di rendere l’implementazione di una tecnologia o tool digitali poco impattanti o addirittura negativi perché non sostenuti da un adeguamento anche dei conseguenti processi. Dall’altro di rendere le organizzazioni meno efficienti ed efficaci spingendole nel tempo ai margini del mercato.

Romeo Scaccabarozzi è Amministratore Delegato di Axiante


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