Gli USA accelerano la corsa a una loro leadership nei campi collegati all'AI, con investimenti ma anche con il blocco delle esportazioni delle tecnologie chiave
Autore: f.p.
Piaccia o non piaccia, l'Intelligenza Artificiale e tutte le sue tecnologie collegate sono il nuovo campo di confronto geopolitico per il prossimo futuro. E il collegamento tra nuove tecnologie, economia, finanza e geopolitica si sta facendo, e in modo evidente, sempre più stretto. Anche perché quando si dice che l'AI può avere applicazioni "trasformative" in qualsiasi ambito, indirettamente se ne sottolinea l'importanza - percepita o reale poco importa - strategica per le nazioni, non solo per le imprese.
Da questo punto di vista la uscente Amministrazione Biden ha lasciato in regalo alla futura Amministrazione Trump una discreta, anche se non inattesa, gatta da pelare, mettendo nero su bianco un nuovo approccio allo sviluppo e alla commercializzazione delle tecnologie collegate all'AI. Un approccio che da un lato può far piacere a chi sviuppa e vende queste tecnologie, ma che dall'altro pone diversi spiacevoli paletti proprio alla "libera circolazione" dell'AI.
Il "regalo" dell'Amministrazione Biden è ufficialmente la Interim Final Rule on Artificial Intelligence Diffusion, un documento che spiega come e con quali limiti le tecnologie di AI sviluppate da e per gli USA potranno essere date in licenza, condivise o vendute ad altre nazioni.
Per migliorare la sicurezza nazionale e la forza economica degli Stati Uniti - spiega testualmente il documento - è essenziale che le tecnologie critiche non vengano delocalizzate e che "l'AI del mondo si basi su binari americani". "È importante - prosegue il documento - collaborare con le aziende di AI e con i Governi stranieri per mettere in atto standard critici di sicurezza e di fiducia durante lo sviluppo dei loro ecosistemi di AI". In sostanza, ben venga l'AI per tutti ma solo secondo modalità e criteri decisi a Washington, quando sono coinvolte tecnologie Made (o Designed) in USA.
Questa macro-visione strategica alla fine si concretizza in una serie di limiti alla commercializzazione e alle implementazione della potenza computazionale collegata all'AI, quindi in ultima analisi alla vendita e all'uso di chip, GPU e acceleratori per l'AI. Il documento che descrive pubblicamente la Interim Final Rule non è chiarissimo in questo senso, ma il nocciolo della questione è che le organizzazioni delle nazioni più "amiche" non avranno serissimi limiti nell'acquisto delle tecnologie USA di AI - ma qualcuno comunque sì - mentre mercati meno "apprezzati" da Washington saranno sensibilmente off-limits.
L'Amministrazione Biden è stata anche molto attenta ad evitare una proliferazione all'estero di infrastrutture di AI - banalmente, data center - americane o basate su tecnologie USA. I grandi hyperscaler statunitensi non potranno ad esempio implementare più del 7% della loro capacità di calcolo per l'AI in nazioni estere affidabili. In modo, tra l'altro, che l'AI "di frontiera" resti comunque negli USA. Gli analoghi operatori non-USA, ma giudicati affidabili, sono limitati a un tetto di 320 mila GPU acquistabili in due anni. Sembra molto e lo è, specie considerando che le GPU per l'AI sono sempre più potenti, ma è comunque un limite.
Analogamente, la Interim Final Rule definisce alcuni limiti alla distribuzione dei modelli chiusi di AI, con evidentemente l'obiettivo di evitare la diffusione all'estero di modelli particolarmente efficaci e ottimizzabili dall'utente. Qui la questione è molto più indefinita rispetto ai limiti alla commercializzazione di hardware, perché la "potenza" di un modello di AI è ancora un concetto piuttosto vago e perché l'addestramento e l'ottimizzazione dei modelli rappresentano due campi in rapida e poco controllabile evoluzione.
Di certo la Interim Final Rule ha un obiettivo chiaro: la Cina. Pechino ha fatto passi da gigante nello sviluppo delle tecnologie di AI ma è ancora dipendente dall'hardware americano. Limitarne ulteriormente la diffusione - le GPU vendute in Cina sono già adesso meno potenti di quelle "native" - serve a mantenere la leadership americana ancora per qualche tempo. Probabilmente non moltissimo, perché la stessa dinamica l'abbiamo vista in campo HPC e il supercomputing cinese non ci ha messo poi molto a raggiungere quello statunitense, e spesso a superarlo.
Più che a Pechino, norme come la Interim Final Rule non piacciono in primis alle aziende statunitensi che stanno facendo fatturato vendendo prodotti AI. In primissima fila c'à Nvidia, ma non solo lei. A parte la progressiva perdita di mercati non amici di Washington ma comunque remunerativi, come la Cina, c'è da considerare che i limiti previsti alla commercializzazione delle tecnologie di AI impattano sul mercato potenziale della "sovereign AI", su cui molti puntano.
L'idea che ogni nazione debba avere una sua infrastruttura "sovrana" per l'AI ha senso in generale, ma per chi vende tecnologie di AI è anche un buon punto di marketing. Adesso, invece, l'idea di fondo è che le AI sovrane saranno quantomeno parzialmente limitate da un accesso controllato alle tecnologie di frontiera. Quindi addio al boom senza limiti del mercato libero - e remunerativo - dell'AI di fascia alta per i Governi e le grandissimo organizzazioni di (quasi) tutto il mondo.
Intendiamoci, la Interim Final Rule è "interim" proprio perché può essere modificata. Ed è pensabile che la nuova Amministrazione Trump la cambi anche solo per principio. Ma il concetto "America first" è chiaro e poco equivocabile: "AI is too important to be offshored", recita un altro documento dell'Amministrazione Biden. Con buona pace delle regioni del mondo - UE compresa - che hanno fatto sin troppo affidamento sulla libera disponibilità delle tecnologie più innovative. Come sempre nei tempi di Guerra Fredda, d'ora in poi tutti giocheranno più a proprio vantaggio che in team.