La tecnologia che il Retail non può sottovalutare

Cosa serve al comparto per crescere e competere? Edge computing, Datafication e (ovviamente) AI

Autore: Valerio Mariani

Comunque lo si guardi, il comparto del retail si dimostra in ottima salute. Come sempre, non esistono due ricerche di mercato con dati simili: c’è chi ipotizza un valore economico più che raddoppiato del mercato della trasformazione digitale nel retail, da 243,5 a 541,5 miliardi di dollari, dal 2024 al 2029 con un CAGR del 17,32%. E c’è chi si dimostra ancora più ottimista, come Cascadia Capital, una delle più grandi banche d’investimento specializzata in attività di consulenza, che nel suo Retail Technology Industry Report 2024 stima un CAGR del 19,1% dal 2022 al 2027 e un valore totale del mercato di 868,7 miliardi di dollari per il 2027.

Valori prevedibilmente discordanti, e almeno non nella crescita del comparto, se si pensa alle differenze in numero dei campioni e al modo in cui si definisce l’ambito di riferimento. In ogni caso, complice anche un certo ritardo nell’adeguarsi ai nuovi trend d’acquisto, il mercato retail oggi dimostra di essere particolarmente interessato a investire in tecnologia.

Il punto è capire quali tecnologie. Praticamente tutte si potrebbe dire. Il comparto deve digitalizzarsi per motivi non sottovalutabili: in sintesi, per le crescenti aspettative dei clienti, per la concorrenza nel mercato globale e per la richiesta di un’esperienza sempre più omnicanale e senza soluzione di continuità. Tutto nel retail gira intorno ai consumatori e alle mutazioni dei loro comportamenti d’acquisto. Il comparto si deve adeguare agli input, perché il rischio è perdere fatturato. Così, è fondamentale essere attrattivi e presenti in tutti i canali, offline e online, e sviluppare strategie di marketing valide e garantire canali funzionali e aggiornati. Una ricerca di McKinsey, per esempio, sostiene che un consumatore omnichannel spende quasi il doppio rispetto a chi sfrutta un canale solo. Inoltre, una volta acquisito il cliente, lo si deve mantenere, dimostrando la massima efficienza e rapidità nel percorso che porta all’acquisto e coccolandolo con il marketing per fidelizzarlo. Infine, garantire un customer care pronto ed efficiente.

Cosa serve al Retail

Relativamente alle tecnologie, il retail chiede automazione dei processi ed efficienza. L’automazione, in particolare, nella gestione dell’inventario, nei sistemi di checkout e per la gestione della supply chain nel suo complesso. Si fanno largo acronimi come Buy-online-pickupin-store (BOPIS), buy-online-return-in-store (BORIS) e buy-online-pickup-at-curbside (BOPAC) – ovvero il ritiro su strada senza bisogno di interagire con nessuno - possibili solo grazie all’automazione e all’integrazione dei sistemi applicativi. In generale, l’aspettativa è che gli store automatizzati passino da una quota dei circa il 25/30% attuale al 70% del 2025, un incremento notevole. In particolare, è richiesta una maggiore automazione nei processi del negozio fisico.

E, come vedremo, il negozio fisico è sicuramente il contesto più coinvolto nella seconda ondata della digitalizzazione, almeno per quelle catene di retailer che hanno già provveduto centralmente al passaggio al digitale. Altro contesto che, ovviamente, non può mancare è quello dell’intelligenza artificiale e delle analisi dati avanzate. L’intelligenza artificiale investe e investirà qualsiasi ambito retail. Dal marketing al servizio clienti e alla gestione dell’inventario. In particolare, il machine learning si sta dimostrando fondamentale per il commercio al dettaglio. Dalla previsione delle preferenze dei clienti all’ottimizzazione delle catene di fornitura, il machine learning consente ai retailer di prendere decisioni più corrette basate sui dati. Inoltre, la GenAI sta portando la personalizzazione a nuovi livelli creando contenuti e raccomandazioni di prodotti su misura, migliorando l’esperienza di acquisto.

Secondo Forrester, il 2024 si concluderà con ingenti investimenti nella creazione di soluzioni di AI su misura e pronte per l’uso aziendale basate sui dati di prima parte forniti dai clienti stessi nell’interazione con le piattaforme del retailer. I retailer, poi, puntano a piattaforme integrate che unifichino i sistemi di back-end con i canali rivolti al cliente, garantendo un flusso di dati in tempo reale per avere un’idea chiara della customer journey e per ottimizzare il delivery. E qui entrano in gioco i paradigmi cloud e SaaS, gli unici capaci di fornire integrazione, dialogo tra i diversi servizi e uniformità di formati nei dati.
Immagine realizzata da Capgemini (How the retail industry can benefit from Edge IoT?).

L'affollamento dell'obsoleto

A questo proposito da segnalare è la folta presenza nel comparto di soluzioni applicative on-premise, di software legacy e, in generale, di infrastrutture obsolete. Esattamente come nel caso del Finance, ci si trova di fronte a un dilemma: sacrificare l’on-prem a favore di un approccio public cloud? La risposta è no. Un’infrastruttura IT nel retail deve distribuirsi su un ambiente ibrido in cui i dati sensibili aziendali e dei clienti siano sufficientemente protetti, siano chiaramente localizzabili e siano archiviati in strutture regionali, condizione peraltro imposta dalla compliance. Un’ipotetica infrastruttura IT per il retail, dunque, si distribuirà in ambienti diversi e dovrà anche guardare con interesse all’edge computing.

Questa tecnologia, infatti, si dimostra adeguata alla gestione e all’elaborazione dei dati dei negozi di prossimità. Un’elaborazione sempre più governata dai dati che non può permettersi di scendere a compromessi con la latenza delle reti di comunicazione pubbliche. C’è dunque bisogno di razionalizzare il flusso di dati generati dall’intelligenza artificiale da e per il negozio. Trasformare i dati in informazioni fruibili è fondamentale. Attraverso la cosiddetta “datafication”, i rivenditori possono comprendere meglio il comportamento e le preferenze dei clienti, guidando in ultima analisi un processo decisionale e una personalizzazione migliori.

Secondo una ricerca Forrester, il 73% dei clienti desidera essere considerato, ma solo il 18% afferma che i brand lo soddisfa in questo senso. Tuttavia, secondo il Digital Trends Retail del 2023 di Adobe, il 71% dei professionisti del retail segnala che l’interazione tra esperienze offline e online rende più difficile tracciare i percorsi dei clienti. C’è, poi, un certo interesse per la realtà aumentata (AR) e per la realtà virtuale (VR) come abilitatori dell’esperienza d’acquisto.

L’esempio più semplice è la prova virtuale dei capi di abbigliamento o, in generale, una visualizzazione dei prodotti più immersiva. Qualche analista prevede che l’adozione di strumenti AR/VR raddoppierà entro il 2024. Una previsione decisamente ottimistica che dovrebbe essere ridimensionata a seconda delle fasce di mercato. Le analisi sul valore, infatti, dipendono troppo dalle capacità di investimento dei grandi retailer ma, se dovessimo concentrarci sull’immenso campione di retailer locali, quelli con un numero limitato di negozi fisi ci, le possibilità di investimento si ridimensionano decisamente.

Si prevede, in questo contesto, l’implementazione di soluzioni specifiche per la gestione dell’assortimento al dettaglio (RAMA) e l’ottimizzazione (unificata) di prezzo, promozione e ribasso (UPPMO), per ridurre gli sprechi e ottimizzare i margini. Continua, poi, la corsa alla “responsività”, ovvero allo sviluppo di app mobile native o web based e allo shopping vocale per soddisfare la continua crescita degli acquisti da dispositivi mobili. Infine, gli analisti ci dicono che i retailer, almeno i più grandi, immaginano in un prossimo futuro negozi senza cassa e strumenti di inventario intelligenti, per esempio attraverso telecamere “intelligenti”, tecnologie RFID e IoT.


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