L'Italia si propone come alternativa alle tradizionali roccaforti digitali europee, ma la sua crescita è frenata da fattori importanti
Autore: Redazione ImpresaCity
Cresce in maniera abbastanza interessante, ma è ancora molto polarizzato geograficamente e fa fatica a giocarsela con le tradizionali roccaforti europee: è la fotografia del comparto italiano dei data center per come traspare dai dati dell'Osservatorio Data Center del Politecnico di Milano. Il ritratto del mercato viene giudicato sostanzialmente positivo, con però diversi chiaroscuri che impongono da un lato una maggiore attenzione delle istituzioni a come agevolare lo sviluppo del settore e, dall'altro, la necessità di affrontare oggettivamente la questione energetica collegata alla crescita di infrastrutture che sono sempre più ad alto impatto lato consumi.
Il bicchiere mezzo pieno è la crescita del mercato: nel 2024 sono stati installati circa 75 Megawatt di potenza energetica dedicata alle data room e alle infrastrutture IT dei data center (esclusi quindi i Megawatt per così dire "di servizio"). A fine 2024 l'Italia dispone quindi di 513 MW "da computing", il 17% in più rispetto al 2023. Questa crescita è interessante anche in prospettiva: se nel biennio 2023-2024 sono stati spesi circa 5 miliardi di euro per la costruzione, l’approntamento e il riempimento di server IT di nuovi spazi data center, il Politecnico di Milano stima che gli investimenti saliranno a 10,1 miliardi nel biennio 2025-2026 e che un numero crescente di nuove aperture di data center siano previste anche oltre il 2026.
La crescita del mondo data center italiano è dovuta a vari fattori, secondo l'Osservatorio. Gioca indubbiamente un ruolo importante la progressiva saturazione delle classiche roccaforti digitali europee: Francoforte, Londra, Amsterdam, Parigi, Dublino. Nel 2024, per il secondo anno consecutivo, questi mercati hanno subito un rallentamento nella crescita del loro business, soprattutto perché è sempre più difficile giustificare e spingere la creazione di nuovi data center in aree che ne ospitano già molti, con effetti anche negativi - o comunque percepiti come tali - sul territorio.
Così i grandi investitori che sviluppano data center hanno cominciato a guardare con più interesse ai mercati "emergenti": Italia, Spagna, Polonia e diverse nazioni del Nord Europa, come la Svezia e la Norvegia. Tra questi, l’Italia presenta alcuni punti di forza: è pur sempre la quarta economia europea per PIL, ha un gran numero di imprese potenziali utenti di servizi da data center, ha una posizione strategica nel Mediterraneo come ponte verso altri mercati emergenti.
Il metaforico bicchiere mezzo vuoto è rappresentato dal fatto che questa crescita del mercato italiano data center resta incentrata fortemente su Milano - che "ospita" 238 MW IT totali sui 513 totali - e comunque sulla Lombardia, dove si trovano nel complesso 318 MW IT. Milano cresce in potenza elaborativa più del mercato italiano nel suo complesso (+34% rispetto alla media nazionale del +17%) e questo rafforza ulteriormente il suo ruolo di capofila nazionale, nonostante i vari sforzi messi in atto per rafforzare digitalmente altre aree in Italia, in particolare Roma.
Una Milano "forte" è in grado di giocarsela meglio con le altre capitali emergenti del mercato data center, come Madrid con i suoi 172 MW IT o Varsavia con 144. Ma è pur sempre una forza relativa - Londra e Francoforte sono ancora molto lontane, con i loro 1.065 e 867 MW IT, rispettivamente - e in un Paese geograficamente "frazionato" come il nostro farebbe probabilmente più gioco una diffusione più omogenea della potenza IT implementata.
Da un punto di vista più tecnico, è ormai decisamente affermato il modello architetturale del campus data center, che oggi è la via preferenziale per la progettazione e la costruzione di nuove infrastrutture. Già oggi, peraltro, i campus data center detengono il 44% della potenza energetica IT nominale attiva. I campus sono in particolare "appetibili" per i cloud provider, che puntano a sviluppare accordi strategici con i colocator per offrire i propri servizi digitali sul territorio italiano.
Altra tendenza evidente è la sempre maggiore importanza dei data center ad alta potenza, con almeno 10 Megawatt di potenza IT. I nuovi - o anche solo annunciati - data center in Italia sono quasi tutti ad alta potenza, anche sulla spinta di un'altra evidente tendenza tecnologica: l'aumento progressivo della densità di potenza nelle singole infrastrutture, con rack sempre più performanti per supportare le nuove applicazioni di AI.
Questi due trend, connessi fra loro, pongono in prissimo piano una questione energetica. Inannzitutto, la concentrazione dei data center nazionali in un'area relativamente ristretta solleva interrogativi sulla effettiva sostenibilità della rete elettrica italiana, un problema che grandi bacini digitali come Londra stanno già affrontando da tempo. L'Italia ha poi costi energetici al di sopra della media europea, il che rende economicamente più oneroso gestire data center in Italia piuttosto che in altre nazioni che hanno sviluppato politiche energetiche più lungimiranti, come la Spagna.
Lo sviluppo dei data center italiani si porta dietro una analoga crescita del mercato della colocation, ossia dell'affitto alle imprese utenti di spazi "serviti" interni ai data center. La crescita di questo mercato è perfettamente allineata (+17% tra 2023 e 2024) con quella del mondo data center e ha portato il settore a muovere qualcosa come 765 milioni di euro.
Il mercato della colocation è scomposto in tre sotto-ambiti, in funzione del tipo di clienti che vengono serviti. A fare la parte del leone è prevedibilmente il segmento cosiddetto wholesale, in cui gli spazi dei data center sono assegnati a grandi imprese o comunque grandi operatori della filiera digitale nazionale. La colocation wholesale nel 2024 ha sviluppato un business di 444 milioni di euro, ossia il 58% del mercato totale.
Il secondo ambito per volume di business è la colocation cosiddetta retail, in cui i clienti sono piccole realtà della filiera digitale attive sul territorio. Questa forma di colocation ha sviluppato il 23% del giro d'affari complessivo.
Chiude una ideale classifica il segmento definito di colocation building hyperscale, in cui gli "affittuari" sono direttamente i cloud provider - italiani e non - che prendono in affitto interi edifici. Agli hyperscaler è andato solo il 19% del mercato colocation del 2024, ma ci si aspetta che il loro ruolo e il loro peso crescano decisamente nei prossimi anni, almeno a giudicare dai piani di sviluppo che molti grandi operatori internazionali hanno già annunciato per le loro operazioni sul mercato nazionale. Entro il 2026, spiega il Politecnico di Milano, il loro business legato alla colocation dovrebbe più che raddoppiare.