E ora? Viene da chiederselo dopo che la
Corte di giustizia europea, avallando il
parere espresso dal suo avvocato generale
Yves Bot un paio di settimane fa, ha deciso di sospendere l'accordo denominato
Safe Harbor, che dal 2000 regola il trattamento dei
dati personali in transito verso gli Stati Uniti.
L'organismo continentale ha motivato la propria decisione ritenendo che le normative americane in materia di
sicurezza rendono possibili ingerenze, da parte di autorità pubbliche (in primis la
National Security Agency), capaci di ledere i diritti fondamentali delle persone e questo sia sufficiente per bloccare l'applicazione dell'accordo. Si rileva anche come non esistano regole destinate a limitare le ingerenze né una protezione giuridica efficace contro eventuali abusi.
Per il momento, le conseguenze di questo pronunciamento sono limitate e si applicano alla causa intentata dal cittadino austriaco
Maximilian Schrems, utilizzatore di Facebook dal 2008. L'uomo ha portato il proprio caso davanti alla Corte di giustizia irlandese e ora quest'ultima dovrà tenere in considerazione il pronunciamento dell'organismo Ue. Toccherà a essa, in virtù della direttiva, deliberare l'eventuale sospensione del trasferimento di dati di abbonati europei di
Facebook verso gli Stati Uniti.
Di fatto, l'attuazione delle decisioni prese dalla corte di giustizia europea costringerà aziende come Facebook, Google o Microsoft A trattenere in Europa i dati relativi a cittadini dell'Ue, senza più poterle trasferire negli Usa per scopi commerciali o a fini di sicurezza pubblica.