Il nuovo Piano Calenda e l’attuazione dell’Agenda Digitale sono le iniziative sulle quali si fondano le promesse per la modernizzazione digitale del Paese
Autore: Piero Macrì
La spinta propulsiva alla trasformazione e al cambiamento - concretizzatasi con la nomina di Diego Piacentini a commissario straordinario per l’attuazione dell’Agenda Digitale e con la successiva approvazione del Piano Calenda per l’Industria 4.0 - testimonia della volontà di rendere l’Italia un paese più efficiente e competitivo. Ci si augura soltanto che nessuna crisi politica blocchi l’innovazione. Guardiamo, quindi, con ottimismo alle opportunità che risiedono in queste importanti iniziative poiché, pur con tutti i loro limiti, rappresentano la premessa di un cambiamento sostanziale delle regole del gioco. Si spera che il tutto possa svolgersi nel migliore dei modi e che si possa cancellare definitivamente il ritardo accumulato in questi ultimi 10 anni. E’ lo stesso Piacentini, però, a mettere le mani avanti, “Nessuno può realisticamente pensare che due anni, la durata del mandato del Team di trasformazione digitale, siano un tempo sufficiente a digitalizzare la Pubblica Amministrazione italiana. L’obiettivo che ci poniamo è quello di attivare un processo di cambiamento e di fare in modo che la digitalizzazione non sia più straordinaria ma diventi la normalità. Il mio principale obiettivo sarà, paradossalmente, fare in modo che il mio stesso ruolo di commissario straordinario cessi di esistere”.
Un sistema operativo per il Paese Il Team digitale di Piacentini ha come obiettivo la creazione di un sistema operativo del Paese ovvero una serie di componenti fondamentali sui quali costruire servizi più semplici ed efficaci tra i cittadini, le imprese e la Pubblica Amministrazione attraverso prodotti digitali innovativi. Il fine è investire in sistemi digitali affinché le Amministrazioni non siano più ostaggio della burocrazia cartacea, dei suoi processi, dei suoi tempi e delle sua inadeguatezze rispetto a uno stile di vita che si è profondamente modificato. Lo sappiamo, la tecnologia è un importante fattore di accelerazione della produttività, ma come sempre ne costituisce solo un fattore abilitante. Il raggiungimento degli obiettivi dipende dalla capacità di ripensare i processi organizzativi per far sì che si possano generare benefici concreti.
Per vincere la tecnologia non è di per sé sufficiente. Il successo dipende essenzialmente dal cambiamento organizzativo e di processo: tanto maggiore sarà quest’ultimo tanto maggiore saranno i benefici. Significa, quindi, andare ad incidere profondamente non soltanto sui processi esistenti - traslare il processo cartaceo in un contesto digitale può essere positivo, tuttavia insufficiente per cogliere l’opportunità complessiva del cambio di paradigma – ma cambiare le regole e normative che definiscono quel processo. Ecco, quindi, che affinché si possa compiere una vera rivoluzione digitale vanno modificate le regole, che devono necessariamente nascere da un presupposto informatico. I risultati, in caso contrario, sono destinati a essere sempre e comunque modesti. Il Team per il digitale di Piacentini è di fatto un gruppo di persone che deve abilitare la semplificazione ed il vero nemico è la burocrazia. Contrastarla ha significato il più delle volte andare a sbattere contro un muro di gomma. Si riuscirà oggi a scalfire quel muro?
CentralizzazioneNell’informatica della PA si spendono oltre 5 miliardi di euro l’anno. Soldi che potrebbero essere spesi meglio perché ciascun Ente, Ministero, Comune, Provincia, fa tutto da solo. Si pensi che nella sola Amministrazione Centrale vi sono migliaia di centri elaborazione dati mentre le grandi aziende private hanno un solo sistema informatico per decine di paesi. E’ possibile cambiare? Certo che sì, l’hanno fatto in tanti in altri Paesi. Ma deve esserci una volontà forte. Soprattutto, si deve avere il coraggio di guardare l’Amministrazione non soltanto dal punto di vista di efficienza interna, ma anche dalla parte del cittadino e fare modo che le opportunità offerte dalle nuove tecnologie siano effettivamente uno strumento di innovazione e promozione sociale. “Il problema in passato è stato affrontato, soprattutto a livello legislativo.
Quello che manca è una chiara esecuzione e reingegnerizzazione dei processi grazie alle nuove tecnologie”, dice Piacentini che aggiunge: “Oggi le nostre identità sono disperse in ottomila anagrafi comunali. Dobbiamo portarle in una sola anagrafe, guadagnando in efficienza e risparmiando soldi ed energia, perché il cittadino non debba più preoccuparsi di comunicare a ogni ufficio della Pubblica Amministrazione i suoi dati anagrafici o il cambio di residenza, per semplificare le procedure di variazione e uniformarle a livello nazionale, perché sia possibile ottenere certificati senza più bisogno di recarsi allo sportello. Questo passo è una premessa per rendere possibili successive innovazioni che oggi sarebbero impossibili o molto costose. Si tratta di un progetto esistente di cui stiamo fortemente accelerando la realizzazione e il completamento”.
Industria 4.0 Partiamo innanzitutto da quanto emerge dalla ricerca "Il Parco macchine utensili e sistemi di produzione dell’industria italiana" realizzata da UCIMU, in cui si evidenzia che il parco macchine utensili e sistemi di produzione installato nell’industria italiana è molto più vecchio di quello di dieci anni fa. Nel 2014 l’età media dei macchinari di produzione presenti nelle imprese metalmeccaniche del paese è risultata la più alta mai registrata da 40 anni a questa parte. Anche il grado di innovazione degli impianti è cresciuto con un tasso di sviluppo inferiore rispetto al passato. Per la prima volta, da oltre 20 anni, si è ridotta la quota di parco macchine installata nelle piccole imprese rispetto al totale. Inoltre, nonostante aumenti il grado di integrazione degli impianti produttivi, rimane alto il numero di macchine semplici, ovvero quelle prive di qualsiasi tipo di integrazione, ancora pari al 79% del totale.
“L’indicatore che misura la penetrazione dell’Ict nelle aziende metalmeccaniche è decisamente basso. I risultati della ricerca - afferma Luigi Galdabini, presidente UCIMU - evidenziano il pesante arretramento che l’industria metalmeccanica italiana ha subito nell’ultimo decennio”. E’ evidente l’invecchiamento dei mezzi di produzione installati nelle imprese - diretta conseguenza del blocco degli investimenti in macchine utensili, robot e automazione – così com’è altrettanto evidente la lentezza nell’incremento del livello di automazione/integrazione degli impianti . “Questi fattori – prosegue Galdabini - mettono a dura prova la competitività del sistema industriale italiano che rischia inesorabilmente di arretrare anche perché, nel frattempo le industrie dei paesi emergenti si stanno dotando di sistemi e tecnologie di ultima generazione”. Il Piano Industria 4.0 va proprio nella direzione di risolvere queste debolezze e arretramento, in particolare riguardo a un punto che è evidenziato nella ricerca, ovvero favorire un percorso di integrazione e automazione degli impianti.
Gli incentivi fiscali La legge di bilancio, entrata in vigore il primo gennaio del 2017, prevede super-ammortamenti del 140% per l'acquisto di beni strumentali e iper-ammortamenti del 250% per gli investimenti in innovazione. Basterà il super piano da 13 miliardi di euro, con incentivi fiscali distribuiti in sette anni, a far scattare gli investimenti? Si tratta di “una sfida di ammodernamento non solo dell’industria ma del Paese intero. E’ un argomento di rilevanza strategica per tutti”, afferma il presidente di Federmeccanica, Fabio Storchi. “Al governo chiediamo che metta le imprese nelle condizioni di potersi adeguare a questa evoluzione e di poter raggiungere in pochi anni quello che i nostri concorrenti dei Paesi limitrofi, a partire dalla Germania, stanno già facendo. C’è molta aspettativa perché – sottolinea Storchi – questa è la vera sfida del Paese, non solo del manifatturiero. Siamo tutti chiamati a dare il nostro contributo ad un processo strategico della digitalizzazione”.
Nell’elenco del Piano relativo ai “Beni funzionali alla trasformazione tecnologica e/o digitale delle imprese in chiave Industria 4.0” sono al momento inserite (ma non si escludono modifiche) 47 categorie di beni e tra queste trovano spazio anche i software, suddivisi in 20 categorie, e riportati in un capitolo specifico dell’elenco, quello dei Beni immateriali (software, sistemi e /system integration, piattaforme e applicazioni) connessi a investimenti in beni materiali Industria 4.0. Tra le tecnologie previste dall'industria 4.0 ci sono robot collaborativi interconnessi e rapidamente programmabili, i big data, il cloud computing, l’IoT, le macchine interconnesse per ottimizzare i processi di produzione, la realtà aumentata a supporto dei processi produttivi, le stampanti 3D connesse a software di sviluppo digitali, la comunicazione multidirezionale tra processi produttivi e prodotti strumenti di analisi per ottimizzare prodotti e processi produttivi.
L’obiettivo che muove l’iniziativa del Governo è incentivare il recupero di competitività da parte delle Pmi italiane introducendo infrastruttura industriale di automazione e digitalizzazione per migliorare l’efficienza, con un occhio puntato soprattutto a quelle realtà che nel corso del tempo hanno perso il treno dell’aggiornamento tecnologico. Il motore per accelerare l’innovazione risiede quindi nell’incentivo fiscale. E’ sufficiente? Oppure se non supportato da altri strumenti di politica industriale è destinato a rivelarsi l’ennesima occasione mancata? Dovremmo riuscire ad essere allineati all’obiettivo europeo relativo al comparto manifatturiero che consiste nel raggiungere il 20% del Pil entro il 2020 attraverso la piena digitalizzazione dei processi produttivi. Ce la si deve fare in quanto la salvaguardia e potenziamento del settore manifatturiero è di assoluta importanza poiché produce forti ricadute positive sul resto dell'economia ed in particolare sulla produttività nel suo complesso. “Ogni euro di domanda finale nel settore manifatturiero – si legge nel documento del Piano di sviluppo europeo - genera circa il 50% della domanda finale supplementare in altri settori dell’economia”.
L’indagine di Federmeccanica Per comprendere meglio lo stato del settore manifatturiero, Federmeccanica ha svolto nel 2015 un’indagine presso le imprese associate con l’obiettivo di conoscere le aspettative di investimento di breve medio periodo. I risultati, pubblicati nel settembre scorso, evidenziano che le tecnologie sulle quali si concentrano maggiormente le intenzioni di investimento a breve termine (sull’orizzonte di 1 anno) sono la sicurezza informatica (45%), la simulazione (26%), il cloud computing(21%) e la robotica (20%). Se si allunga l’orizzonte temporale includendo le strategie di investimento a medio termine queste quattro restano quelle sulle quali le imprese intendono investire maggiormente. “Complessivamente – affermano gli autori dell’indagine - i dati confermano un approccio prudente da parte delle imprese che non sembrano subire più di tanto il fascino delle tecnologie mediaticamente più alla moda (stampa 3D, nanotech, robotica collaborativa, …)”. Preoccupa però un risultato ovvero che non emerge una previsione di recupero del ritardo da parte di quelle aziende (36%) che presentano un basso livello di digitalizzazione: “le loro intenzioni di investimento nelle tecnologie proposte nei prossimi anni sono sistematicamente inferiori rispetto a quelle con un medio o alto livello di adozione tecnologica (64%)”. Sembra, quindi, che – in assenza di azioni correttive – il divario tra il posizionamento tecnologico delle imprese più avanzate e di quelle più arretrate sia destinato ad accentuarsi. Un rischio che dovrebbe essere attenuato da una seria politica di sviluppo industriale.
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