La crescita della cosiddetta
API economy è uno degli elementi di maggior spicco nell'evoluzione dello sviluppo software di questi anni. Di per sé non è una rivoluzione tecnologica ma lo è di approccio. Una volta il team di sviluppo aziendale era abituato a
fare tutto in casa, ora è inutile inventare di sana pianta nuovi servizi se è possibile
sfruttare quelli di terzi che li mettono a disposizione attraverso API pubbliche, funzionali e documentate.
McKinsey stima che usando bene la logica delle API le aziende potrebbero "sbloccare" qualcosa come
mille miliardi di dollari di crescita economica. Questo semplificando il backend IT, abilitando servizi migliori e permettendo di crearne di nuovi attraverso un dialogo tra aziende diverse. Un concetto in fondo alla base dello sviluppo a
microservizi, tipico delle applicazioni mobili e cloud-native e ormai sinonimo di sviluppo moderno.
Mille miliardi sono una cifra davvero rilevante, specie considerando che poche imprese - sempre secondo McKinsey - stanno seguendo la strada giusta per farlo. Perché, secondo gli analisti,
non è sempre semplice mettere in successione i passi che servono a tale scopo.
Per prima cosa - si spiega - bisogna prima
capire quali API servono a migliorare il business delle imprese. Si tratta in sostanza di evidenziare quali bisogni, anche latenti, potrebbero essere soddisfatti con una nuova API da proporre poi sul mercato. Identificati questi bisogni, si passa a sviluppare l'API dopo aver analizzato
quali informazioni e quali sistemi essa coinvolge nel suo funzionamento. Magari anche sfruttando altre API già disponibili.
Sviluppata un'API che soddisfa una determinata necessità, bisogna venderla. Molte aziende hanno difficoltà a farlo con i giusti ritorni perché
non riescono a determinare il valore che l'API porta concretamente a chi la usa, pur avendo identificato con precisione perché dovrebbe usarla. Ma è solo in base a questo valore che si può definire il prezzo del "consumo" dell'API e il
modello di pagamento: appunto a consumo, con revenue sharing o via dicendo.
La "monetizzazione" di un'API va fatta anche quando si tratta di una API interna che non viene aperta ad altre imprese. Il suo uso porta comunque benefici che
si possono quantificare tangibilmente in un risparmio o in nuove entrate. Definire questo valore di un'API è importante per dimostrare come investire nella API economy sia effettivamente remunerativo.
Un controllo centralizzato
Nelle aziende che hanno un tasso elevato di sviluppo e/o di utilizzo di API, McKinsey sottolinea l'importanza di creare un
centro di controllo che sovrintenda alle interfacce applicative. Per chi ha fatto delle API un business, questo cosiddetto API Center of Excellence (CoE) serve a controllare quali API sono state sviluppate (per evitare duplicazioni), come possono essere riutilizzate, quali vanno modificate e da chi per mantenere le piattaforme sempre aggiornate.
Il ruolo del CoE è anche seguire in generale la
governance delle API. Le interfacce sono comunque un punto d'ingresso verso la rete di chi le eroga e spesso di chi le usa, quindi coinvolgono i classici temi del monitoraggio e della sicurezza
degli accessi e dei dati. Governance significa anche garantire che lo sviluppo delle API sia
in linea con la strategia aziendale, quindi che i servizi applicativi necessari siano sempre disponibili o in via di sviluppo.
Il CoE può occuparsi anche del
monitoraggio delle performance delle varie API, perché un'interfaccia che funziona male non offre un servizio soddisfacente o, peggio, non ne offre affatto. Bisogna per questo tenere traccia delle metriche legate al tasso di utilizzo e ai
tempi di risposta delle API, per capire se e dove intervenire in una fase di sviluppo successiva. E anche, dal punto di vista di chi le API le usa solamente, quali stiano continuando a portare benefici e quali invece potrebbero essere abbandonate o sostituite.