Autore: Redazione ImpresaCity
Ma l’innovazione tecnologica e soprattutto digitale è entrata davvero nel DNA delle imprese italiane? A guardare le previsioni di investimento sembrerebbe sostanzialmente di sì, il problema dell'innovazione digitale è che va prima guidata in azienda e poi implementata in maniera trasversale, il che richiede ruoli specifici e spesso una modifica nell'organizzazione aziendale.
Per questo, secondo alcuni dati pubblicati di recente dalla School of Management del Politecnico di Milano, il 41% delle grandi aziende italiane ha formalizzato una Direzione Innovazione. Il 51% ha definito figure di Innovation Champion, che fanno da ponte tra innovazione e business. Il 74% ha adottato azioni definite di Corporate Entrepreneurship, per stimolare approcci imprenditoriali interni.
Proprio intervenire sulla crescita delle risorse interne oggi risulta essenziale, perché tra gli ostacoli che l'innovazione digitale trova nelle imprese ci sono soprattutto la mancanza di un adeguato livello di competenze digitali interne (la cita il 47% delle grandi imprese) e la difficoltà ad attrarle dall’esterno (34%).
Conseguenza positiva per il mercato del lavoro: il personale interno viene riqualificato dal digitale, non ridimensionato. Solo il 14% del campione esaminato dalla School of Management ha infatti indicato una diminuzione di personale per la maggiore efficienza dei processi e l'utilizzo di automazione. È maggiore - 24% - la percentuale di chi indica, all'opposto, un aumento di organico grazie alla maggiore attrattività e crescita della propria impresa.
Le imprese italiane hanno capito che fare innovazione da sole non è la strada migliore e hanno recepito l'approccio della Open Innovation. Oggi l'86% delle grandi aziende italiane ricorre a iniziative di Open Innovation e oltre metà ha un budget dedicato, anche se perlopiù (68% dei casi) non è autonomo ma rientra nei fondi genericamente dedicati all'innovazione.
L'Open Innovation italiana resta ancora prevalentemente inbound (assorbire opportunità di innovazione dall'esterno) e molto meno outbound (lo sviluppo di startup o spinoff). Quello che cambia, e sensibilmente, è con quali partner le aziende vogliono fare innovazione. Sempre meno con le società di consulenza e i vendor/sourcer ICT, che nei prossimi tre anni passeranno rispettivamente dal 25% al 18% e dal 24% al 14% delle preferenze.
Saranno le startup le principali fonti di innovazione per le imprese italiane. Oggi il 58% delle grandi aziende e l'11% delle PMI collabora con startup per la propria innovazione. Se aggiungiamo anche chi ha in programma di farlo, le quote salgono rispettivamente all'80 e 40 percento. L'evoluzione delle dinamiche di collaborazione è evidente anche lato startup: oggi il 50-60% di loro collabora preferibilmente con Università, centri di ricerca e altre startup, ma nei prossimi tre anni le grandi aziende saranno il partner principale (54% di citazioni).
Certo, il dialogo tra aziende consolidate e neoimprese porta sempre qualche incomprensione. Lato grandi aziende si citano ad esempio tempi di sviluppo e implementazione superiori alle aspettative e la complessità nell'allineare gli obiettivi dell'azienda con quelli della startup. Lato startup si temono problemi di comunicazione. Ma il trend è comunque consolidato: l'innovazione e la crescita nascono dalla collaborazione reciproca.