La Commissione Europea non vede di buon occhio la versione "chiusa" di Android, non è detto che una maggiore apertura sarebbe un vero vantaggio per gli utenti
La notizia di queste ore è che la Commissione Europea ha
comminato a Google una sanzione record da 4,34 miliardi di euro per - testualmente - "
pratiche illegali riguardanti i dispositivi mobili Android al fine di rafforzare la posizione dominante del motire di ricerca Google". Da qui in poi la cronaca della vicenda è prevedibile, almeno per i prossimi tre mesi: Google
ha già spiegato che l'analisi della Commissione non è corretta e comunque
presenterà appello, in ogni caso ha 90 giorni di tempo per aderire alle richieste della Commissione cambiando il modo in cui distribuisce Android.
Il nocciolo della questione è infatti che quando si dice "
Android, il sistema operativo open source di Google" in riferimento all'OS installato
su una pletora di smartphone e tablet, non si è completamente esatti. Da un lato c'è
Android AOSP (Android Open Source Project), che è effettivamente open source e quindi modificabile. Dall'altro c'è
Android GMS (Google Mobile Services), che è la piattaforma usata sulla stragrande maggioranza dei dispositivi mobili. Su questa, Google esercita il suo pieno controllo.
La
differenza sostanziale tra le due versioni di Android è che la GMS comprende anche, di default, lo store Google Play e le app standard di Google come ad esempio Gmail o Chrome. Ma
è Google Play l'elemento chiave: qualsiasi utente di norma installa nuove applicazioni solo usando lo store di Google, quindi nessun produttore di dispositivi per il mercato di massa potrebbe permettersi di offrire Android senza Google Play. Darebbe l'impressione di aver venduto un prodotto non espandibile e personalizzabile.
L'unico vendor che agisce quasi liberamente, per la sua forza di mercato, è Amazon. Il
Fire OS dei tablet Kindle Fire è infatti AOSP in una versione ad hoc dotata di un suo store specifico (quello di Amazon stessa). Più in generale, qualsiasi versione di AOSP non approvata da Google
non può avere né Google Play né il motore di ricerca Google. Un limite non da poco per eventuali versioni alternative del sistema operativo.
Secondo la Commissione Europea, tutto questo rappresenta una strategia precisa per
portare sempre più traffico mobile al motore di ricerca Google. E la casa di Mountain View, sottolinea sempre la UE, ricava il suo business principalmente proprio dal motore di ricerca.
Un produttore di device Android per il mercato di massa è obbligato di fatto a usare la versione GMS e Google gioca sulla importanza di Google Play per
obbligarlo a preinstallare anche il motore di ricerca Google. Inoltre, sempre secondo la Commissione, Google per qualche tempo ha pagato i produttori di dispositivi perché il motore di ricerca di Google
fosse il solo installato, confidando nel fatto che la gran parte degli utenti non ne avrebbe installati altri. Il pagamento è stato indiretto, sotto forma di una quota dei ricavi di Google stessa, ma questo non lo ha reso meno sgradito alla Commissione.
La Commissione Europea vede la situazione nell'ottica dell'abuso di posizione dominante, pensando alla tutela del mercato. Ma, indipendentemente dalla validità delle affermazioni delle parti in causa, è interessante anche capire
che effetti "tecnologici" potrebbe teoricamente avere, sul mondo Android, quanto sta avvenendo in questi giorni.
Per la Commissione Europea i produttori di device Android dovrebbero poter usare la versione GMS senza essere costretti a integrare il motore di ricerca Google.
Non è detto che la situazione complessivamente cambierebbe: gli utenti si aspettano comunque di usare quel motore di ricerca e anche il browser Chrome. E nessuno può obbligare Google a impostare in Chrome un motore di ricerca di default diverso dal suo.
L'altra strada che la Commissione vorrebbe aperta è la possibilità del
forking assolutamente libero di Android. Un qualsiasi produttore di device dovrebbe cioè poter creare un Android alternativo, partendo da AOSP, senza essere sottoposto al controllo di Google. È una ipotesi tecnologicamente interessante ma meno "appealing" di quanto sembri a prima vista.
In primo luogo va considerato che nella storia dell'IT
i sistemi operativi "alternativi" hanno avuto sempre una vita difficile, su qualsiasi classe di dispositivo. Basta prendere Windows Phone di Microsoft e Tizen di Samsung, o la diffusione di Ubuntu su mobile, come esempi per concludere che poche realtà si metterebbero a produrre un loro Android
ed a supportarlo, con o senza motore di ricerca Google (ma molto più probabilmente
con).
Inoltre, oggi uno dei principali problemi di Android come piattaforma di massa
sta nel poco controllo che Google esercita su di esso, non il contrario. C'è già una elevata frammentazione del mercato, con il risultato in particolare che i device non possono essere aggiornati rapidamente con le nuove versioni di Android. O non possono essere aggiornati affatto. Da qui tra l'altro il
permanere di molte vulnerabilità anche quando potrebbero essere "tappate".
Tirando le somme, dal punto di vista della tutela della concorrenza la Commissione Europea si muove correttamente. Quando però scende nelle considerazioni tecnologiche - l'ambito di queste pagine - la sua visione
appare un po' slegata dalla realtà.
Affermare che Google ha bloccato lo sviluppo di fork di Android può avere un senso nel mercato degli smartphone e dei tablet - che questi fork però probabilmente nemmeno li sta cercando - ma non in generale.