Nell’immaginario collettivo il bello della Rete, da quando si è fatta “evidente” per tutti alla fine degli Anni Novanta, è la possibilità di comunicare con chiunque altro sia connesso.
Poi questa comunicazione e la relativa condivisione di informazioni possono anche prendere strade meno che ideali, ma è un rischio intrinseco per qualunque cosa dia un pubblico a qualsiasi voce. I benefici, da qualsiasi punto di vista, hanno sempre superato gli svantaggi.
Appare quindi un po’ ironico che proprio nell’era in cui essere connessi è quasi un diritto universale inalienabile - e in cui sembra che qualsiasi nuova tecnologia debba per prima cosa permetterci di essere ancora più connessi - si evidenzino sempre più muri alla condivisione delle informazioni.
Per motivi che sono più o meno comprensibili, ma che nel complesso spingono a farsi qualche domanda. Per le aziende, la vecchia promessa di apertura della Rete ha oggi la declinazione della promessa del cloud: non importa dove ci si trova e quanto grandi si è, esiste comunque una “nuvola” indefinita di servizi cloud che possono soddisfare le proprie esigenze IT. Che significa avere risorse di computing ovunque servano, ma anche un canale per ricevere e trasmettere dati da e verso qualsiasi parte del globo.
E poterli memorizzare ed elaborare dove è più opportuno. Come si armonizza questa visione con l’idea che alcune nazioni vogliano farsi il proprio cloud? Recentemente la Francia ha espresso questo concetto esplicitamente.