Povera app Immuni. A marzo sembrava che avesse fatto fare a tutto il sistema-Italia il salto dall’oscurantismo digitale al pensiero Gen Z.
Metti insieme app, open source e pure la benedizione tecnologica di Apple e Google, che ti manca? Siamo a fine ottobre e dell’app Immuni c’è quasi imbarazzo a parlare, se non per criticarla un po’ e archiviare la faccenda.
Invece oggi fa bene parlare di Immuni.
Non perché non ha funzionato come si voleva ma come sintomo della pericolosa abitudine italiana a considerare la tecnologia come una panacea per mali che invece vanno curati anche con altro.
L’errore da evitare è “collezionare” le tecnologie invece di recepirle davvero.
Tornando a Immuni, in nazioni come Singapore o la Corea del Sud il tracciamento via app ha funzionato non solo perché è stata fatta un’app.
Ma perché le informazioni del tracciamento via smartphone sono state combinate con molte altre, analizzate e sfruttate.
Noi ci siamo fermati al primo passo: la tecnologia più o meno c’era, mancava una visione di come integrarla con il resto.
Le tecnologie non nascono e non vivono in una bolla.
Serve comprenderle, contestualizzarle rispetto al proprio scenario d’uso, considerarle in una prospettiva almeno di medio periodo.
Che la politica italiana questo non sappia farlo, è un dato di fatto e non da oggi.
Alle competenze possono pensarci gli esperti, i tecnici (ma anche qui, che fatica)...