La pubblicazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza - il PNRR - ha prevedibilmente già suscitato molte aspettative.
Come è logico che sia, perché è da tempo che l’Italia non aveva a disposizione fondi così cospicui da dedicare alla trasformazione del Paese.
Oltre 235 miliardi di euro, tra sovvenzioni e prestiti, che dovrebbero, nelle intenzioni, essere impiegati per colmare i gap di cui in Italia ci lamentiamo da anni: nella digitalizzazione delle imprese e della PA, nella mancanza storica di un approccio sostanziale alle tematiche ambientali, nell’accesso non omogeneo alle possibilità di sviluppo per questioni di età, genere, territorio.
E fin qui, tutto bene. Se strategicamente ben spesi, i fondi previsti dal PNRR possono effettivamente cambiare il volto della nazione.
A guardare le prime reazioni al Piano, però, un elemento di attenzione va decisamente posto. A differenza di altre iniziative precedenti - anche molto positive, come Industria/Impresa 4.0 - qui non stiamo parlando di sovvenzioni a pioggia da applicare ad una generica lista della spesa tecnologica.
Non sta arrivando, insomma, un “superecobonus 110% digitalizzazione” con cui rifare la facciata tecnologica delle aziende. Il Piano Transizione 4.0 in effetti seguirà logiche simili, ma è solo una parte - 13 miliardi - del tutto...